Sulmona, 28 ottobre– Cosa è successo in politica da Nilde Iotti a Giorgia Meloni? Nel 2012, ma per diversi anni prima e dopo, in un periodo di tranquilla decadenza culturale, si diffusero una serie di teorie: complottiste, apocalittiche, di sconvolgimenti globali, di nuove filosofie e nuovi concetti sociali, che profetizzavano ogni genere di iattura per il pianeta. Dalla profezia dei maya alla new age, dal piano Kalergy all’asteroide in rotta di collisione, tutto indicava una fine imminente. Una di queste teorie riguardava l’inversione dei poli magnetici terrestri con relative disastrose conseguenze.
Nel frattempo il villaggio diventava sempre più globale anche e soprattutto grazie all’esplosione della tecnologia legata alla rete internet. L’economia si omologava in tutti gli stati e si amalgamava in un composto che travalicava i confini. L’Unione Europea disquisiva sulla curvatura delle banane e le sue direttive annullavano le diversità materiali dei prodotti, le peculiarità dei territori, dall’alimentazione, all’agricoltura, dal manifatturiero all’energia, dagli appalti pubblici alle regole produttive. Nasceva il Mercato Unico Globale con annessi e connessi onori e oneri. Generalmente gli onori riguardavano le grandi multinazionali e gli oneri i piccoli imprenditori locali, sempre più sopraffatti dalle forze impari in campo.
E la politica? In questo melting pot economico finanziario la politica ha avuto un ruolo determinante, accogliendo o favorendo azioni, che spesso sono andate a discapito del Paese che le recepiva, in nome di un globalismo che avrebbe, in teoria, arricchito le società ampliando la platea di mercato.
In Italia la fine del berlusconismo coincide con una profonda crisi economica, deflagrata nel 2009 in America con il fallimento della Banca Lehman Brothers e della cosiddetta “finanza creativa” che coinvolse l’intero sistema economico-finanziario mondiale. L’Europa intera si trovò a fare i conti con un mostro chiamato “spread” e che altro non era che un mostruoso debito degli Stati, contagiati dalle innumerevoli reti che collegavano, come in un gigantesco gioco di scatole cinesi, tutti gli istituti finanziari in sofferenza, del pianeta.
Un autorevole e autoritario Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, decise di staccare la spina prima della “morte del paziente” e nominò al Governo il tecnico per antonomasia: Mario Monti, il bocconiano, economista. Il 13 novembre 2011 il professor Monti (nominato senatore a vita solo il giorno precedente) riceveva l’incarico di formare un Governo con il compito di domare lo spread e di arginare il fallimento della Repubblica. Ciò avviene con una serie di impopolarissime azioni di cui il premier è consapevole, ma che ritiene necessarie. Rimarranno nella Storia le lacrime del Ministro Elsa Fornero, autrice di una drammatica e vituperata riforma pensionistica, ancora in essere, anche se calmierata da annuali interventi in deroga.
I politici italiani subiscono lo shock dell’esautorazione e iniziano un percorso di “rinnovamento” dei rispettivi principi ispiratori con un restyling delle diverse compagini e con lo scopo di recuperare le posizioni perse, ma soprattutto la fiducia degli elettori, abbandonati alla “cura del bisturi” degli accademici.
Intanto arriva sulla scena politica italiana il Movimento 5 Stelle, che grazie alle geniali intuizioni comunicative di Gianroberto Casaleggio, raccoglie tutta la rabbia e il malcontento di un Paese deluso e disgustato dal malcostume della politica e desideroso di una rivincita della società civile. Al grido di “Onestà, onestà” e senza lesinare inviti ad andare… in luoghi più consoni ai responsabili dello stato di precarietà, guidati da un comico genovese abituato ad arringare dai palcoscenici dei teatri, arrivano in Parlamento i cosiddetti “cittadini”.
Il populismo assurge agli scranni più alti dello Stato, anche grazie ad una legge elettorale, tuttora vigente, che non consente di esprimere una maggioranza netta. E’ indelebile il ricordo di un desolato Pierluigi Bersani che tenta un disperato approccio con i nuovi arrivati per creare un Governo, ma lo streaming dell’incontro segna il punto più basso e triste della storia del PD.
Per rincorrere la riconquista dei ruoli i Partiti iniziano a “cambiare pelle”. La Sinistra vira verso il mondo industriale e bancario abbandonando a poco a poco i temi da sempre nella sua storia: lavoratori, diritti sociali, tutele delle fasce più deboli, a favore di politiche di privatizzazioni spinte e abbattimento di storiche conquiste sindacali. Il Jobs Act di Matteo Renzi segna lo spartiacque della “virata”.
Con il sovrapporsi, in corsa, dei governi Letta e Renzi poi, l’attenzione della politica di sinistra si sposta sempre più verso argomenti lontani dal vivere comune: finanza, banche, tassi, spread e un tentativo di riforma della Costituzione che, rimandata agli elettori in un fatale referendum, segnano l’uscita di scena (apparente), vincolata al risultato, di Matteo Renzi, il giovane rampante del PD ammiratore senza riserve di Barak Obama. La forbice sociale si allarga sempre più a sfavore delle fasce più deboli. Molte conquiste civili, date per scontate cominciano a vacillare mentre il mondo bancario e finanziario riceve più attenzioni delle necessità della società civile.
Un ruolo molto importante nella debacle della sinistra riguarda i diritti civili e la questione femminile. La questione immigrazione, che la sinistra favorisce senza regole e chiedendo riconoscimenti come ius soli, politiche economiche assistenzialiste con vistose falle nell’applicazione, come il Reddito di Cittadinanza, fortemente voluto dai 5S, insieme alle controverse questioni legate alle rivendicazioni delle comunità LGBT, che confliggono con i diritti delle donne, dei loro corpi e della mercantilizzazione di tecniche come la GPA( la surrogazione di maternità legalizzata), aumentano ancora di più la distanza tra la domanda sociale e la risposta politica.
Alla Destra non sfugge il vuoto rappresentativo che si viene a creare con queste scelte della sinistra e, cavalcando il populismo malpancista, sulla scia del successo dei 5Stelle, inizia ad occuparsi del grido di dolore della società vittima della crisi: disoccupati, imprenditori falliti, giovani e meno giovani, minoranze, disperati. Inizia così l’inversione dei poli della politica italiana. La sinistra si allontana sempre più dalla base della società, che ha costituito da sempre il suo ambito di competenza, mentre la destra occupa sempre più quei territori abbandonati raccogliendo le richieste di aiuto delle vittime della crisi.
Così la Lega raccoglie il grido di dolore dei giovani disoccupati iniziando la crociata contro la Legge Fornero, che impedisce il turn over nell’occupazione. Il senso di insicurezza evocato da una immigrazione incontrollata, che agita le fasce più deboli e disagiate. Il richiamo a valori come la famiglia, la religione, il lavoro, i fallimenti di piccoli imprenditori che lasciano una lunga e drammatica scia di suicidi anche per il senso di abbandono da parte delle istituzioni. Il successo di Matteo Salvini traina il polo di destra conquistando il primato delle preferenze nella consultazione elettorale del 2018.
Tuttavia la famigerata legge elettorale non permette di esprimere una maggioranza netta e dopo 100 giorni dalle votazioni nasce il primo Governo Conte, composto da una maggioranza di Destra e dal Movimento 5Stelle finalmente al Governo. La difficile convivenza di due anime politiche distanti, ma che aggregano diverse richieste di aiuto provoca la crisi solo un anno dopo, nel 2019, quando Salvini esce dall’esecutivo in piena estate. Nel vuoto appena creatosi si inserisce il piccolo partito di Matteo Renzi che, lungi dall’aver mantenuto il proposito di abbandonare la politica dopo il disastroso referendum del 2016, si presta a sostenere un secondo governo a guida di Giuseppe Conte, avvocato pugliese, accademico, al servizio del Movimento 5Stelle.
Ma la tempesta perfetta è in arrivo dalla Cina, dove nel gennaio 2020 esplode la pandemia di Covid19. La gestione della pandemia, che in Italia porterà al tragico bilancio di circa 180000 vittime, segna il definitivo fallimento del governo di coalizione e un disperato Presidente Sergio Mattarella prende l’estrema decisione di chiamare Mario Draghi, ex presidente della BCE, a tentare l’impossibile: tenere insieme il Paese e traghettarlo fuori dalla tragedia. Draghi riassume attorno a sé una coalizione enorme, investendo la politica delle responsabilità che il momento storico esige. Una sola voce rimane fuori: il piccolo partito di Fratelli D’Italia, figlio della destra storica, guidato da Giorgia Meloni. Una donna di 45 anni di cui 30 passati in politica.
Il compimento dell’epocale capovolgimento si realizza così nel 2022, quando alle macerie della crisi economica e i due anni di pandemia si aggiunge lo spettro di una terza guerra mondiale alle porte dell’Europa. Il 25 settembre 2022 il polo formato da Fratelli D’Italia, il partito guidato da Giorgia Meloni, la Lega di Matteo Salvini e Forza Italia con il redivivo Silvio Berlusconi vince le elezioni in modo schiacciante sulla coalizione del Partito Democratico di Enrico Letta, di Italia Viva di Matteo Renzi, di Azione di Carlo Calenda e di ciò che rimane del Movimento 5 Stelle guidato da Giuseppe Conte.
Meloni, unica donna in Italia leader di partito, da sola ha gestito l’opposizione, garantendo così la democrazia. Nel giro di pochi anni, da un peso del 4%, forte di argomenti inconfutabili, di una passione, forza e coerenza viscerali, riesce a portare il suo partito al 20% e fino al 28% alle consultazioni del 25 settembre 2022, quando viene definitivamente consacrata prima forza politica del Paese e prima donna Presidente del Consiglio dei Ministri.
A rimarcare il peso della sconfitta e del declino della sinistra italiana, la vittoria di Giorgia Meloni rappresenta l’ulteriore fallimento del partito che non è mai riuscito ad esprimere il primato di una figura femminile di pari prestigio, nonostante la presenza di numerose donne negli esecutivi e sugli scranni parlamentari. Figure politiche come Nilde Iotti, Tina Anselmi, Filomena Delli Castelli sono lontane anni luce dalle donne espresse dalla politica di sinistra degli ultimi 30 anni.
Mira Carpineta