Trentasettesima edizione de La Sacra Rappresentazione della Passione di Cristo
Gessopalena, 6 aprile- Gessopalena ha atteso le 21:00 di ieri mercoledì 5 aprile per smettere i panni della quotidianità ed indossare quelli del Cristianesimo. A predire ai pellegrini il magnifico che si sarebbe concretizzato dopo l’ultima corsa dell’autobus di linea che è transitato nel cuore del paese prima della definitiva chiusura della strada, a tutto ciò che potesse rappresentare una contaminazione, i drappi rossi posti su lampioni anticati di Piazza Roma
A sentinella del palco allestito nel cuore del villaggio del gesso, l’artistica fontana raffigurante la Nike dei Greci, dea della vittoria. Sicuramente vi è poco di vittorioso nella Passione di Cristo per gli uomini, ma vi è del sommo in quello messo in scena da registi, attori e autori a Gessopalena.
Il palco è stato, sin da subito, animato dalla puntuale voce di Giovanni Battista impersonato da Fabrizio de Gregorio.
Le palme adagiate su stole rosse hanno accolto il giovane e dolce Cristo impersonato da Valerio De Gregorio. Apostoli, dagli abiti molto evocativi, smascherati e sollecitati dal verbo del figlio di Dio che preannuncia ciò che verrà e intima a suoi dodici di non fermare i bambini desiderosi di toccarlo e abbracciarlo, dimostrando che i pargoli vanno a Cristo, sfidando il freddo e la notte delle pendici della Maiella, perché ne comprendono la purezza e l’entità. E poi il Cenacolo, quel Cenacolo gemello di quello del Da Vinci a mettere tutti insieme per un’ultima convivialità e poi Pietro nella persona di Leonardo di Paolo a stimolare pensieri e riflessioni.
Un plasmante intervento di Menina Iride nei panni di Satana cattura l’attenzione della folla dimostrando che il sotterfugio, la menzogna e la tentazione hanno piglio nella recitazione come nella vita reale. Non mancano giudei, sacerdoti e Giuda impersonato da Andrea Lannuti ad invocare la morte dell’innocente per eccellenza.
Le affinità con quanto cesellato nel vangelo germogliano in ogni dialogo, monologo, sguardo, movenza, piega d’abito. Il tempo investito nelle prove e nelle preparazioni di ogni singola figura orientano con precisione a quanto noto dell’Orto degli Ulivi, del Sinedrio e del Pretorio, lasciando assaporare inserimenti delicati seppur incisivi, di nuova generazione tipo “L’incontro di Cristo con l’emigrante, La Disperazione di Giuda, E se tornasse, La Tentazione, Processo a Gesù”.
Seppur determinato nel suo intento Giuda interpreta un confronto con Pilato all’anagrafe Raffaele di Fabrizio, finendo per glissarne i suggerimenti e i tentativi del prefetto di salvare il salvabile.
La scalinata della Chiesa di Santa Maria dei Raccomandati è l’accogliente scenografia della lavata di mani Pilato dinnanzi ad un Gesù, che come risaputo, non pronuncia sillaba in sua difesa. Al prefetto non resta che sparire con celerità all’interno della cappella uscendo definitivamente di scena, proprio come il vero Pilato. Giova ricordare che nella versione ottocentesca di questa rappresentazione tutte le scene si svolgevano all’interno di questo edificio religioso e il Monte Calvario era allestito in aperta campagna.
La folla attenta e composta, all’improvviso, viene rapita e scossa da proiezioni che paiono sgorgare dalla viva pietra della chiesa stessa raggiungendo le trafelate orbite. Tanto veritiere le recitazioni trasmesse, al punto da spingere a cercare la mano di chi si ha di fianco seppur sconosciuto. Gesù denudato, frustato, sbeffeggiato, picchiato, grondante di sangue e mortificato dai centurioni racconta ciò che tutti sanno da sempre, ma che torna a commuovere ogni volta come fosse la prima volta.
Non si possiede la forza di battere ciglio, quanto l’uomo ha compiuto e può compiere è inenarrabile. Inaspettate, ma calzanti le immagini dei conflitti in essere nel mondo che la facciata del luogo sacro mostra agli intervenuti, intervallandoli con le sequenze proprie di una delle rappresentazioni abruzzesi, più antica e popolare. I bambini dilaniati dalle bombe evocano immediatamente le mortificazioni subite dal figlio di Dio, purtroppo l’umanità par sappia fertilizzare meglio il male del bene!
I registi Domenico Turchi e Maurizio Melchiorre hanno saputo rievocare e educare al contempo, per mezzo di “molteplici cortometraggi “, ognuno impattante e concreto a suo modo, tutto coronato dai significativi testi di Dante Troilo, Luigi Saverio Tozzi e Giuliano Colantonio.
Che l’oggi non può e non deve recidere i legami con il passato la comunità gessana lo sa bene, e affidandosi ad un Gesù sofferente a cui presta vicinanza Veronica nella persona di Marta Troilo conduce tutta la folla al Borgo Medievale di Gessopalena, il cosiddetto Paese Vecchio. Prima di raggiungere la sommità del borgo antico e quindi prima di trovarsi faccia a faccia con una Maiella innevata sulle cime, intenta a non lasciar trapelare emozioni, corteggiata da un cielo severo ed in preghiera ci si imbatte in raffigurazioni animate e suggestive. Veri e propri quadri viventi, curati da Antonio Persiani, dialogano in perfetta armonia con i resti del borgo. I figuranti compongono scenari toccanti, sarà per merito del rappresentato, sarà per il coinvolgimento degli attori, ma pare di essere tornati realmente alla notte dei tempi.
Camminando fra questi “angoli di presepi“ narranti la Passione del Cristo si giunge sul Monte Calvario di Gessopalena. La concitazione del momento viene incensata da musiche, canti e dalla voce fuori campo di una donna, per l’esattezza dalla voce della scomparsa Za Lietta. Un lemma addolorato e sfinito da quanto sta per accadere al proprio figlio, che poi altri non è che il figlio del Padre Celeste. Figlio che sempre troppo poco si ama e che sempre troppo spesso si continua ad ingiuriare ed oltraggiare.
Intransigenti i centurioni che isseranno il Cristo di questo 2023 al cospetto della Maiella Madre, struggenti le tre donne che piangono ai piedi delle tre croci, sempre compiuto l’agire insensato dell’uomo, diamine!
Ogni rappresentazione ha il potere diffondere una dottrina nuova e singolare, verosimilmente, anche, per questa ragione nel 1965 il parroco di Gessopalena intese reintrodurre questa “santa e benedetta” pratica.
In questi giorni di memoria per il terremoto dell’Aquila, facile supporre che il corposo fascio di luce proiettato al cielo non fosse ad esclusivo uso della rappresentazione, ma anche un abbraccio alle fraterne vittime.
Al piè di pagina di quanto andato in scena nella Gessopalena di oggi, che è l’impronta della Gessopalena di ieri, esclusivamente note di applauso, di apprezzamento e di congratulazioni per tutti. In attesa di nuove e coinvolgenti elaborazioni, si menziona l’importanza di un’amministrazione comunale in sinergia con la parrocchia con le associazioni tutte e con il volontariato che sono linfa delle piccole e virtuose comunità.
Cesira Donatelli