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La pace possibile tra politici e toghe

Scritto da redazione

Sulmona, 15 maggio-La bufera giudiziaria che si è abbattuta sulla Liguria in questi giorni, per gravi casi di corruzione, tutti da accertare, che coinvolgono il Presidente e il suo entourage, ripropone, ancora una volta, la necessità di risolvere quanto prima la disparità di opinioni e comportamenti tra politica e magistratura.

Nel rapporto tra politici e toghe, conclusa l’epoca berlusconiana, occorre scongiurare il rischio di uno scontro fatto di contrapposte culture del sospetto; sarebbe una svolta per ripartire e rendere possibile la pace tra politica e magistratura, pace auspicata fin dagli anni di Mani pulite e mai raggiunta.

Mani pulite non fu nel ’92, come molti ancora pensano oggi, un golpe dei magistrati perché le inchieste sulla corruzione ebbero come effetto il crollo del “Palazzo”. Fu, al contrario, il suicidio di partiti ridotti a barzelletta e di un’economia di cartello che, protetta dalla concorrenza dalla regola delle tangenti, non riusciva a tenere il passo con Maastricht: epilogo scontato di una modernizzazione mancata in un Paese afflitto da assistenzialismo, economia di Stato e debito pubblico alle stelle.

Da allora la magistratura è esondata, non perché ci fosse una particolare propensione eversiva dei magistrati, ma perché il vuoto che si viene a creare tra i poteri, necessariamente deve essere riempito. Dove la politica non è più stata in grado di risolvere gravi problemi di corruttela, la magistratura chiamata a legittimare leader e partiti a corto di credibilità, ha avuto mano libera e la politica si è precipitosamente ritirata sotto l’incalzare delle proteste di piazza, utilizzando lo scudo dell’immunità parlamentare, assai abusato al tramonto della Prima Repubblica.

L’articolo 68 della Costituzione ha salvato deputati e senatori contro inchieste arbitrarie o infondate, giacché le Procure sono diventate, questo sì dopo Mani pulite, titolari di vita e di morte dei politici. Ne è seguito il discredito mediatico attraverso giornali e televisioni a caccia di notizie, dello scoop fin dal nascere dell’inchiesta, prima ancora che si giunga al processo e ad una eventuale sentenza di condanna o di assoluzione, rovinando così la reputazione dell’indagato di turno. E’ opportuno ricordare che, secondo la legge italiana, il cittadino è ritenuto colpevole dopo il terzo grado di giudizio.

Come sempre accade, quando il potere affascina oltre ogni misura, alcuni pubblici ministeri, soprattutto quelli impegnati nelle inchieste più scottanti, si sono lasciati attrarre dalla politica, con risultati disastrosi, come ampiamente dimostrato dallo scandalo Palamara o dal braccio di ferro tra Berlusconi e le Procure, a caccia di presunte connivenze tra lo stesso e i mafiosi nella stagione delle stragi di mafia.

Il rischio da scongiurare, oggi, è lo scontro tra politica e magistratura, fatto di contrapposte culture del sospetto, dopo una stagione che ha visto i magistrati eccedere nel protagonismo e, talvolta, chiamati ad orientare o condizionare le scelte politiche.

La politica ha un solo modo per scongiurare il rischio di uno scontro: osservare scrupolosamente l’articolo 54 della Costituzione, che prescrive disciplina e onore nell’esercizio delle funzioni pubbliche, non chiedendo più alla magistratura patenti di legittimità o supplenze di potere. 

Non sarà facile trovare un equilibrio dopo decenni di presenzialismo giudiziario che hanno convinto che non si debba nascondere nulla ma ricercare la verità ad ogni costo.

L’Italia non potrà mai ripartire se non si sbloccherà il meccanismo perverso dell’eccesiva presenza del potere giudiziario, in ogni ambito della cosa pubblica, dai contratti e appalti sempre più precari, allo scarso consenso elettorale e alla ridotta stabilità degli esecutivi. 

Non ci sono golpisti con la toga, come non ci sono politici desiderosi di sottomettere le toghe. Tuttavia, la riforma del ministro Nordio non avrà un iter parlamentare facile, anche perché la separazione delle carriere che vuole abolire l’appartenenza ad un solo ordine giudiziario di giudici e pubblici ministeri, è una “vexata quaestio“ che da tempo si cerca di risolvere, finora senza risultati apprezzabili. 

Angela Casilli

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