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L’intelligenza della scimmia e quella artificiale (IA)

Scritto da redazione

di Paolo Carretta* 

Sulmona, 31 maggio- Intelligenza Artificiale (IA) generativa è in grado di elaborare contenuti complessi attraverso software, ovvero algoritmi, che devono però essere alimentati da enormi quantità di dati (risorse di testo, immagini, video e altro) senza l’intervento umano. Per rispettare il Diritto d’autore (art. 4, par. 3, Direttiva Ue 2019/790) nell’utilizzo di tecniche di text and data mining 1, libero nei limiti indicati (art. 4 cit.), per il recupero e l’analisi dei dati (contenuti), senza incorrere in violazioni, resta necessaria l’autorizzazione del titolare dei diritti, salvo che non si rendano applicabili le eccezioni limitazioni relative al copyright, tra cui le finalità di ricerca scientifica. 

Orbene non si può escludere la natura creativa di un’opera, considerandola quindi dell’ingegno, anche quando ottenuta attraverso l’utilizzo di IA generativa, pur non prescindendo da un indispensabile accertamento di fatto, per verificare che ricorrano le condizioni previste dalla Legge (art. 1, l. 633/1941 2), tali per cui il concetto di creatività non coincide con quello di originalità e novità assoluta 3, anche dovendosi valutare un’opera d’arte, ma è piuttosto espressione di una personale visione del creatore, nel rappresentare una determinata oggettività. 

Da tale previsione normativa discende infatti che il Diritto d’autore protegge non già l’idea in senso creativo che deve, in quanto tale, recare l’impronta riconoscibile dell’artista, che non può essere negata, pure laddove risulti (quantomeno) ridotta alla sola scelta dell’algoritmo da applicare e all’approvazione del risultato generato dal software, non potendosi negare il carattere di opera dell’ingegno ad una realizzazione, per il solo fatto che si sia impiegato un tool digitale per giungere ad essa, laddove autenticamente creativa (S.C. civ., Sez. I, ord., n. 1107/2023). In prospettiva e prescindendosi dal “caso de quo”, il punto è che la tutela giuridica apprestata dalla Legge sul Diritto d’autore, può ritenersi pacifica solo per l’opera di un autore che sia qualificabile “umano4, situazione che si riscontra fattualmente in quelle creazioni che siano solo assististe dall’IA (computer aided work), non potendo essere esclusa soltanto perché l’opera consiste in idee e nozioni semplici, ricomprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi specifica esperienza. Dovrebbe invece logicamente e conseguentemente negarsi, per quell’attività che dovesse concretizzarsi nel frutto esclusivo dell’IA creativa (computer generated work), laddove questa dovrebbe correttamente qualificarsi unico autore, prescindendosi da chi eserciti la signoria (proprietà o altro diritto) sulla macchina che l’ha prodotta. Conseguenza diretta di una tale conclusione, sarebbe che il risultato di una tale attività “non umana” cadrebbe nel pubblico dominio, in difetto di un sia pur minimo atto suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore, riconducibile al genio di un essere umano

Non rileverebbe, “de iure condito”, il danno potenziale che patirebbe, secondo tale interpretazione, la ricerca dell’innovazione, non adeguatamente pungolata dalla prospettiva dei lauti guadagni che già si possono prevedere (per qualcuno). Conforme risulta, del resto, la posizione dell’US Copyright Office in relazione alle c. d. immagini di accompagnamento, ove realizzate dall’IA e come tali non ritenute espressione della creatività umana. Tale ufficio federale registra un’opera originale “a condizione che il lavoro sia stato creato da un es- sere umano“ … , ovvero “non registrerà opere prodotte dalla natura, animali o piante“

Un caso per certi versi analogo s’era peraltro infatti già posto all’attenzione di tale Autorità, allorquando un macaco aveva realizzato una serie di selfie, dopo essersi appropriato della macchina fotografica di un foto- grafo naturalista britannico. Caricare tali immagini di successo, sui server di Wikimedia Commons (2014), aveva innescato una problematica rilevante per il “Diritto di esclusiva”, perché erano indiscutibilmente il risultato dell’attività creativa di un essere animato, ma non dell’uomo. 

Fatto è che il copyright viene ritenuto espressione della (Intellectual property) proprietà intellettuale di un creatore, che non può quindi non avere personalità giuridica, che evidentemente difettava al macaco artista. Le immagini sono quindi state considerate di pubblico dominio (public demain), sebbene si sia anche cercato di attribuire all’animale il ruolo di collaboratore del fotografo umano, come avviene nei grandi progetti fotografici, per i quali le corti americane riconoscono il copyright al fotografo che dirige le riprese e non ai suoi assistenti. 

*Gen. B. (Ris.) della Guardia di Finanza 

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( foto 1)-La “ Creazione di Adamo” è un affresco di Michelangelo Buonarroti (1511) che decora la volta della Cappella Sistina, nei Musei Vaticani

( foto 2)Uno dei selfie realizzati da un macaco della specie “Macaca nigra” utilizzando le apparecchiature fotografiche sottratte ad un fotografo naturalista inglese attualmente ritenuti di pubblico dominio

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