di Orlando Antonini *
L’AQUILA-Stando così le cose, ne conseguono due interrogativi. Un primo, il perché Bonifacio, se tale era la sua posizione dottrinale, abbia proceduto a cassare solo e soltanto l’indulgenza aquilana e non anche, come logica vorrebbe, anche quelle, di identica natura plenaria, della Porziuncola e di Compostela. Il secondo interrogativo: come sia possibile che Bonifacio VIII stesso, dopo appena sei anni dall’aver cassato l’indulgenza aquilana con tale e tanta motivazione dottrinale, clamorosamente smentendosi l’abbia poi ripresa ed estesa persino a livello universale e per un intero anno per il Giubileo del 1300.
Per il primo interrogativo, cioè il Perdono di Assisi o della Porziuncola, è da tener presente che esso all’epoca di Celestino non era ancora stabilizzato. Sulla sua autenticità, infatti, si avanzarono dubbi dall’inizio. I primi biografi del Santo non ne parlano affatto, il silenzio su di esso arriva praticamente fino al 1260, le prime testimonianze appaiono nel 1277, dopo di che nel 1279 è ben nota la quaestio disputata di Pietro di Giovanni Olivi, se cioè fosse ‘conveniens’ credere che alla chiesa di santa Maria degli Angeli fosse stata data o no l’indulgenza di tutti i peccati. Riassume in proposito Daniele Pinton: «La necessità di una ‘difesa’ dell’indulgenza della Porziuncola si rese necessaria per rispondere alle accuse dei detrattori (soprattutto domenicani) che tentavano in ogni modo e con ogni mezzo di sminuire il valore della perdonanza assisiate. Fra le accuse principali si rimproverava alla Porziuncola di fare impropriamente concorrenza alla Terra Santa; di essere un’indulgenza che ci si poteva procurare troppo facilmente e quindi di diventare agevolmente un’incitazione al peccato; di essere collegata a una cappella pressoché sconosciuta; di non essere stata promulgata con le necessarie garanzie».
Pietro di Giovanni Olivi si dichiarava a favore dell’autenticità del Perdono di Assisi, ma evidentemente la sua difesa non risolse i dubbi. Già il Péano nel 1984 e più di recente Walter Capezzali hanno ricordato come solo nel 1310, a ben 94 anni dal 1216 della concessione orale, il vescovo di Assisi Teobaldo per tranciare definitivamente l’incertezza si sia trovato nella necessità di emanare il cosiddetto succitato ‘diploma’ contro i detrattori di quella indulgenza plenaria. Fu insomma solo nel ‘300 che l’indulgenza della Porziuncola fu ben conosciuta e recepita, mentre l’essere stata la Perdonanza aquilana, al contrario di quella della Ponziuncola, la prima indulgenza plenaria – dopo quella della crociata – promulgata con le ‘necessarie garanzie giuridiche’, permette di parlare della Perdonanza celestiniana come causa ispiratrice del Giubileo universale. La circostanza indica come Celestino V, smentendo già la taccia di sprovveduto che oltre al resto gli si affibbia, abbia curato a ragion veduta di emanare un’indulgenza plenaria bollata.
Per ora sola ragionevole motivazione che trovo di un comportamento contraddittorio del genere da parte di Bonifacio VIII è quella secondo cui sia l’indulgenza della Ponziuncola sia quella di Santiago di Compostela in origine non rivestissero carattere di plenarietà, ma costituissero indulgenze parziali. Diversamente, se la Porziuncoila avesse avuto carattere plenario il vescovo Teobaldo non avrebbe poi potuto aggiungere nel suo diploma che “lo stesso signor papa Bonifacio VIII, anche ai nostri giorni, ha inviato a questa Indulgenza alcuni rappresentanti ufficiali, perché la predicassero solennemente in suo nome, nel giorno del perdono. Inoltre, anche alcuni cardinali, venendo di persona a questa Indulgenza, nella speranza di conseguire il perdono, con la loro presenza l’approvarono come vera e certa”. In breve, le indulgenze di Assisi e di Compostelasarebbero diventate plenarie al momento della compilazione postuma dei rispettivi documenti, magari proprio dietro la controversia tra Aquilani e Bonifacio sull’indulgenza celestiniana. Del resto la prima supplica che S. Francesco rivolse a papa Onorio non era quella di ottenere un’assoluzione da tutti i peccati commessi ‘dal battesimo’ – questa sarebbe l’aggiunta postuma del vescovo Teobaldo – bensì una indulgenza ‘senza oboli’, ossia non legata ad elemosine quale condizione da soddisfare per beneficiarne. Quanto al testo d’indizione del Giubileo del 1300, non può mancare di rilevarsi come Bonifacio VIII abbia evitato, per non dare l’impressione di contraddirsi, i termini di una assoluzione ‘fin dal battesimo’ come era nella bolla di Celestino, concedendo una non solum plenam et largiorem, immo plenissimam veniam peccatorum, che significa bensì indulgenza plenaria, ma interpretabile, a rigore, da valere per i peccati commessi non dal battesimo ma semplicemente dall’ultima confessione fatta.
La risposta al secondo interrogativo, la metanoia cioè della mente di Bonifacio VIII dal rifiuto all’accettazione dell’indulgenza plenaria, appare più agevole. In merito mons. Felice Accrocca così ha riassunto in un recentissimo articolo. «Prima che Bonifacio VIII — nell’anno 1300 — annunciasse al mondo il grande perdono, la cristianità medievale non aveva mai celebrato un giubileo come noi l’intendiamo oggi… Tuttavia, l’idea non nacque nella mente del pontefice e neppure in quella dei suoi stretti collaboratori. Grazie a una fonte di straordinaria importanza, il De centesimo seu Jubileo anno opera di Jacopo Stefaneschi, cardinale diacono di S. Giorgio al Velabro, possiamo infatti conoscere gli antecedenti della decisione che spinsero infine papa Caetani a concedere al mondo la «pienissima» remissione dei peccati. «S’era andata diffondendo una voce — narra lo Stefaneschi — che riguardava l’anno santo, di cui allora si attendeva l’inizio ormai imminente con il numero di 1300. (…) Essa divulgava una promessa: chi si fosse recato a Roma nella basilica di S. Pietro, Principe degli apostoli, avrebbe ottenuto la pienissima remissione di tutti i peccati»… Quasi per tutta la durata del primo gennaio rimase nascosto il segreto della nuova remissione; ma, al declinare del sole, verso sera, fin quasi al silenzio profondo della mezzanotte, i Romani ne vennero a conoscenza: ed ecco il loro accorrere in folla alla sacra basilica di S. Pietro. Si ammassano accalcati presso l’altare, ostacolandosi a vicenda così che a stento era possibile avvicinarsi, come se pensassero che in quella giornata, che tra poco sarebbe finita, dovesse terminare con essa la concessione della grazia, almeno di quella maggiore». Non dall’alto, dunque, ma dal basso la voce prese corpo. E, una volta partita, niente e nessuno riuscì più a fermarla”.
“Bonifacio VIII – continua mons. Accrocca – non volle però arrendersi. D’altronde, non aveva già decisamente avversato la decisione di Celestino V che, appena qualche anno prima, aveva allargato a dismisura i cordoni della borsa concedendo l’indulgenza plenaria a quanti, in un determinato giorno, pentiti e confessati, si fossero recati a L’Aquila, alla basilica di S. Maria di Collemaggio? Per questo motivo, riferisce ancora la nostra fonte, «il buon padre decretò che si ricercassero riscontri negli antichi libri. Ma da essi nulla venne in piena luce di quanto si cercava… e non venne fuori nulla perché nulla c’era stato, ciò che peraltro metteva il pontefice allo scoperto perché senza precedenti ai quali potersi appoggiare, se non la decisione del suo immediato predecessore, sulla quale egli non poteva — né voleva — certo far leva”.
Qui, noi però preciseremmo che nulla venne fuori da quelle ricerche non in rapporto alla concessione di indulgenze plenarie (esisteva già da tre secoli almeno quella della Crociata, se non si vogliono considerare il perdono celestiniano o quello assisiate) bensì in rapporto alla celebrazione di un anno giubilare centesimo.
“Bonifacio VIII – prosegue mons. Accrocca – chiese allora «il parere del Sacro Collegio dei padri circa la nuova materia dell’anno centesimo, non ancora appieno approfondita». Il papa era tutt’altro che uno sprovveduto e ben sapeva di doversi avventurare su un terreno non ancora battuto. Un sì o un no in quel frangente non potevano, peraltro, giungere senza una consultazione previa: infatti «al quesito fu data, per i meriti degli apostoli, risposta favorevole». Si giunse così alla decisione dell’indizione giubilare, resa pubblica, con la lettera Antiquorum habet fida relatio, il 22 febbraio del 1300”.
In breve noi diciamo che occorre dare atto a Bonifacio VIII, evidentemente impressionato sia dalla caparbietà degli Aquilani a non restituirgli la bolla e continuare a celebrare la Perdonanza come abbiamo visto, sia dal grande flusso di pellegrini e dal massiccio favore spirituale che nel popolo di Dio le indulgenze plenarie sprigionavano, di aver avuto l’avvedutezza di riconoscere come vox Dei la vox populi, di tornare sulle sue posizioni, recepire le istanze sociali, spirituali e civiche provenienti dal basso, cambiare idea sulle indulgenze stesse e indire appena sei anni dopo, nel 1300, il giubileo universale. Lì comunque, indicendo il giubileo, Bonifacio non fece altro che ampliare ad un anno e istituzionalizzare in forma giubilare centenaria, l’iniziativa indulgenziale del suo predecessore.
Per concludere, una parola sulla nostra Porta Santa. Per sé la Bolla di Celestino V non prevede, al fine di beneficiare dell’indulgenza plenaria, l’entrata attraverso una speciale porta, ma solo che, pentiti e confessati, si visiti la chiesa di Collemaggio. La ‘Porta Santa’ costituisce una innovazione, e un’innovazione tardiva: ben conveniva del resto, per i pellegrini, un atto rituale formale di entrata in chiesa per la visita indulgenziale. All’Aquila si tratta di un’intelaiatura lombarda neo-romanica, con spalle a risalti in pietra rossa e colonnine cilindriche in pietra bianca, che continuano concentricamente nel grande archivolto. Il tutto è impreziosito dalle policromie della lunetta, una Vergine e Bambino tra San Giovanni Battista e San Celestino in affresco, di fine ’300, attribuito dai critici alla maestranza tardo-gotica d’indirizzo neo-senese attiva all’Aquila fra il 1381 dell’affresco di Sant’Amico e l’ante-1413 degli affreschi di San Silvestro. Come si sa, il Gavini datò la Porta a fine ‘300 in base al testamento 1397 di Simone di Cola da Cocullo e questa datazione si era fatta tradizionale. Ma essa, come ho fatto presente in altri lavori che qualcuno non ha letto bene, non è più sostenibile per diverse ragioni. Per di più il Chini, prendendo dall’Antinori, ricorda che il documento testamentario di Simone da Cocullo disponeva in realtà che la porta «si adornasse piuttosto di marmi, che di pitture», quindi non di dipinto ma di gruppo scultoreo. Il che non è evidentemente attribuibile all’attuale Porta Santa.
Tuttavia la detta tradizionale datazione della Porta al 1397, attesi non il testamento di Simone di Cocullo ma i caratteri formali e stilistici di fine ‘300 dell’affresco della sua lunetta, varierà di poco rispetto a quella finora invalsa. La data può risalire, a nostro sommesso parere, al 1394, probabilmente per celebrare il primo centenario dell’istituzione della Perdonanza. Non sappiamo se il precedente duecentesco portale fosse già Porta Santa. Per l’attuale si dispone di una testimonianza monumentale inequivocabile: nel 1394 o giù di lì dell’affresco, la porta, Santa lo era di certo, giacché il soggetto iconografico del dipinto, con Celestino V in atto appunto di dispiegare il rotolo della bolla del Perdono mentre nella sua usuale iconografia egli regge un libro, la dimostra senza alcun dubbio collegata all’indulgenza.
Tutto ciò pone un interessante quesito rispetto alle Porte Sante delle basiliche romane. Ovvero: se la Porta Santa aquilana stando all’epoca del suo affresco è del 1394, comunque di fine ‘300, essa sarebbe più antica di quelle, dato che delle Porte romane si ha notizia solo in pieno ‘400. Lo ha ribadito proprio in questi mesi Pietro Zander in un articolo su L’Osservatore Romano. Egli anzi scrive che “recenti e argomentati studi di Antonella Ballardini riferiscono l’introduzione di una Porta Santa in San Pietro al Papa Niccolò V Parentucelli” per il grande Giubileo del 1450. In merito, chi vi parla era stato più ampio, anticipando la data delle Porte Sante romane al Giubileo del 1425. È ciò che nei miei lavori mi ha indotto a ipotizzare che possa essere stato il nostro S. Bernardino, il quale predicò a Roma il Giubileo del 1423 e dati i suoi rapporti con L’Aquila già a quel tempo, a suggerire a papa Martino V per detto Giubileo, sull’esempio appunto della già realizzata Porta Santa di Collemaggio all’Aquila, di introdurre tale devozione anche a Roma. Dovrebbe quindi dirsi che, fino a quando non verranno alla luce testimonianze documentali che lo smentiscano, all’Aquila l’introduzione della Porta Santa col suo rito di passaggio si sarebbe effettivamente verificata in anticipo rispetto a Roma – come vi si era anticipato il Giubileo universale.
Oggi, forse per la successiva e a nostro sommesso giudizio troppo prodiga concessione di indulgenze plenarie da parte della Sede Apostolica, si registra una certa ‘svalutazione’ di esse. È quanto obiettarono ad Onorio III, si legge nel codice teobaldino del 1310, i cardinali presenti nel 1216, circa la supplica di S. Francesco: “Badate, signore, dissero, che se concedete a costui una tale indulgenza, farete scomparire l’indulgenza della Terra Santa e ridurrete a nulla quella degli apostoli Pietrro e Paolo, che sarà tenuta in nessun conto”. È del resto dall’orizzonte stesso dell’uomo moderno secolarizzato che al contrario dell’uomo medioevale la prospettiva eterna, pertanto anche la ricerca di ‘perdonanze’, si è svigorita. Non per questo tuttavia ha perso d’interesse il perdono. Anzi, come anche da me notato in altri lavori, il perdono sta riprendendo grande importanza, perfino a livello delle neuroscienze. Possa esservi quindi una grande ripresa nei cristiani del desiderio di Perdonanze, sia di quella celestiniana sia di quella giubilare del 2025. Anche questa è speranza, grande speranza, giacché significherà che vi è stato un recupero del senso del peccato e dell’esigenza di esserne perdonati.
*Nunzio Apostolico