Intervista a Domenico Alampi, operatore della disciplina a Torino
SULMONA-Incontro Domenico Alampi, conosciuto come Nico, nel suo studio in Via Valgioie 31 a Torino. Nico è un operatore shiatsu: dopo la formazione in Giappone nello stile “iokai” del maestro Masunaga ha praticato per più di quarant’anni con i necessari aggiornamenti; quindi il discorso non può che affrontare subito questa affascinante disciplina orientale.
Cos’è lo shiatsu?
Shiatsu è una parola giapponese composta da due ideogrammi (“shi” e “atsu”) che significano energia e pressione; nel nome c’è l’essenziale perché si tratta, attraverso la pressione in punti ben precisi, di riattivare l’energia che scorre nel nostro corpo e che per vari motivi ha trovato ostacoli nel suo flusso.
Energia, flussi, pressioni. Non sembrano concetti molto familiari in occidente.
La medicina occidentale, con la quale lo shiatsu non è né in competizione né in alternativa, ha sviluppato approcci di grande successo alle questioni della salute, ma lo shiatsu ha un’impostazione diversa basata sulla concezione cinese dell’uomo. E’ una concezione di tipo “olistica” in cui l’essere umano è visto come un tutt’uno in cui tre elementi (corpo, mente, spirito) s’influenzano a vicenda; quando il rapporto non è armonico e l’energia non scorre nel corpo, all’interno di 12 “meridiani”, senza ostacoli (per motivi interni o anche esterni) compare uno squilibrio che si manifesta attraverso la malattia o il semplice dolore muscolare, articolare ecc. Compito dello shiatsu è quello di ristabilire l’equilibrio tenendo presente quindi non solo l’organo colpito dal dolore, ma, insieme a questo, l’intero organismo.
Quindi, se ho capito bene, non si tratta di massaggi?
No. Assolutamente no. Lo shiatsu è un trattamento eseguito attraverso una pressione effettuata con una tecnica ben precisa, non si tratta di massaggiare né di usare oli come nell’ayurvedico indiano. In questa disciplina si lavora a livello energetico; ad esempio davanti a una contrattura non cerco di “sbloccare” il muscolo bensì di riattivare lo scorrere dell’energia che potrebbe essere “bloccata” anche in punti lontani da dove si sente dolore. Se si ha difficoltà ad alzare un braccio il problema può essere a livello vertebrale, lungo la schiena e non solo nell’articolazione della spalla quindi l’interesse dell’operatore è rivolto non solo al punto dolente ma a tutto/i il/i meridiani coinvolti. Ma oltre all’aspetto anatomico vi sono altri elementi che influenzano profondamente l’equilibrio energetico interno riconducibili ai cambi di stagione, ai cibi, all’ambiente circostante.
Ci sono quindi analogie con l’agopuntura?
Certo; non solo la concezione olistica della malattia, ma i meridiani, i punti più sensibili, l’approccio complessivo all’essere umano sono gli stessi. Mentre nell’agopuntura si vanno a sollecitare determinati punti del corpo con gli aghi, lo shiatsu fa la stessa identica cosa negli stessi identici punti ma con una pressione costante nella forza, mantenuta nel tempo e perpendicolare al punto stesso. In alcuni casi anziché alla pressione si ricorre alla “moxa” ovvero a piccolissime candeline che, applicate sul punto individuato, rilasciano calore che, assorbito dall’organismo consente di riattivare una corretta circolazione dell’energia: questa tecnica è senz’altro la mena invasiva di tutte.
Dicevi che però non si tratta solo di un approccio di tipo medico in senso stretto…
Sì, è così. Nella salute delle persone non si tratta mai solo di questioni fisiche, proprio perché si è un organismo tutti i diversi aspetti interni (emozionali, spirituali, organici) ed esterni contribuiscono al mantenimento del benessere. L’approccio di chi opera nello shiatsu ha quindi il dovere di tenere presente tutto ciò ma, d’altra parte, questo caratterizza lo shiatsu come un intervento soprattutto di natura preventiva: l’obiettivo non è tanto quello di curare, quanto quello di non far ammalare. Paradossalmente il trattamento va fatto quando si sta (o si crede di star) bene, non quando insorge un dolore. Il nostro corpo, per gli orientali, è come un contenitore di energia che lo tiene in vita; questa energia, chiamata in cinese “qi” e in giapponese “ki” (si vedano i termini ai-ki-do o anche hara-ki-ri), ci è donata in parte all’atto del concepimento (è un po’ il bagaglio iniziale) e in parte si ricava dal respiro e dal cibo. È chiaro che qui lo shiatsu s’incontra con altre discipline e con quelli che chiamiamo “stili di vita”: da questo incontro scaturisce l’intervento dell’operatore, mai solo dal sintomo.
Hai operato in strutture “occidentali”?
Certo. L’esperienza che più mi ha colpito professionalmente e umanamente è stata la collaborazione con un reparto oncologico per donne operate di tumore al seno. Ovviamente non va chiesto allo shiatsu di fare ciò che la moderna chirurgia può fare, ma si può intervenire sugli effetti collaterali post-operazione. I fenomeni di nausea, stanchezza, ritenzione idrica, gonfiori (come effetto collaterale dell’assunzione di cortisone) e la condizione psichica di tristezza e sconforto possono essere affrontati e anche risolti con adeguati trattamenti. Questo è un bell’esempio di collaborazione tra approcci diversi alla salute che, insieme, possono migliorare la qualità della vita dei pazienti. Ho collaborato anche con ospedali infantili dove lo shiatsu, attraverso la moxa, è molto utile anche perché, ad esempio, prima dei parti è possibile agire per evitare i podalici, ma questo è solo un aspetto, quasi simpatico, di trattamenti molto seri.
Che consiglio daresti in chiusura?
Bisogna ascoltare il proprio corpo e mai sottovalutare i messaggi che ci invia. Spesso siamo talmente presi dalla frenesia che tendiamo a sottovalutare il malessere, il dolore o il semplice disagio: prestiamo attenzione anche a queste “piccole” cose, ovviamente senza rinchiuderci in noi stessi. Inoltre se si sceglie il trattamento bisogna essere consapevoli che inizia un percorso che talvolta può condurre molto lontano sia da dove si è partiti sia da dove si pensava di arrivare. Lo shiatsu propone, con la cura preventiva, un via da percorrere e mai solo una pastiglia.
Nicola F. Pomponio