Il burattino che non vuol più essere una marionetta

Sulmona,26 febbraio- Le favole, come tradizione indottrina, dovrebbero aiutare a rimboccare le coperte ai più piccini e a coadiuvare il sonno. La collodiana storia di Pinocchio, una discreta dose di caffeina l’ha posseduta sin dalla nascita, a conferirgli un ulteriore guizzo energico ci hanno pensato alcuni dei detenuti della Casa di Reclusione di Sulmona, per esattezza tutti coloro che sono coinvolti, in questo specifico progetto scolastico trattamentale.
Una collaborazione fruttuosa e continua quella con CPIA di L’Aquila e il Carcere di Sulmona, tutto passa per la laboriosa e instancabile collaborazione delle insegnantiAntonella Iulianella e Berlantini Concetta.
L’espressione teatrale di cui hanno potuto beneficiare i presenti è stata eccelsa, pareva di avere dinnanzi attori rodati e padroni del palcoscenico, un risultato che lascia presuppore ore ed ore di prove e studio delle parti, non un’esitazione, un accavallarsi delle interpretazioni, neppure un’improvvisa raucedine di uno dei protagonisti ha creato imbarazzo o confusione, tutto gestito con padronanza e scioltezza. La regia di tanta maestria affidata al mite, ma di sicuro esigente e conoscitore attento del teatro Pietro Becattini, al suo fianco e unica donna in scena, nella parte della Fata Turchina, la competente e preparata attrice Maria Francesca Galasso.

Queste manifestazioni sono possibili grazie al sostegno e al supporto, altresì, della Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia dell’Aquila.
Il teatro va in scena nel Carcere di Sulmona, anche, perché ne è amante e minuzioso conoscitore il direttore Stefano Liberatore. Ha voluto sottolineare, il direttore nel suo intervento inziale, l’elevato spessore del progetto trattamentale che, attraverso la metafora di un burattino che non può muoversi pur aspirando alla libertà, pone l’attenzione sulla vita e le aspirazioni di un detenuto. Pinocchio, d’altronde, nella favola del Collodi ha vissuto anch’egli un trattamento riabilitativo. Sbagliare non pregiudica la possibilità di rialzarsi e di intraprendere un nuovo e più sano cammino. Il senso di un’autodeterminazione nuova è essenziale, questo può portare a distinguere l’illecito dal lecito. Nulla è facile o gratuito tutto è conseguibile attraverso il sacrificio.
I detenuti del super carcere di Sulmona e le loro ammirabili insegnanti, si cimentano spesso in lavori culturali, artistici e di letteratura. La presenza e le parole di ammirazione e di entusiasmo della preside del CPIA Alessandra De Cecchis ne sono testimonianza. La dirigente scolastica ha affermato che i percorsi di recupero interni sono possibili, determinante la convinzione che la vera libertà passa per la consapevolezza di sé stessi.
La presenza, nella sala polivalente del carcere, dell’Ispettrice Scolastica Regionale Gabriella Liberatore, della professoressa Barbara Tomassetti del Cetemps dell’Aquila, racconta di svariate progettualità portate avanti negli anni, anche, in campo climatico.
A vivere attentamente la rappresentazione teatrale la dirigente scolastica Cinzia D’Altorio. Scuola e carcere possono trovare sinergie formative Insomma, legami che restano e vanno “oltre le sbarre” modi diversi di sentirsi un po’ più parte di un mondo che, al momento, non si riesce a vivere a pieni polmoni.
Nonostante gli impegni istituzionali e politici ha voluto esserci la Consigliera Regionale Maria Assunta Rossi. La sensibilità della Rossi giova ricordare, una delle donne più votate nella recente disputa elettorale, ha voluto evidenziare, nel prendere la parola, l’importanza di questi momenti culturali, perché basilari per fasi di reintegrazione sociale. Contesti quelli di un saggio teatrale, continua la consigliera regionale, in cui si coltivano crescite personali e miglioramento che posso assumere aspetti di esempio sano e di cambiamento.

A moderare e ad introdurre a questo spettacolo colmo di tante espressioni umane Elisabetta Santolamazza. La Santolamazza è la capo area trattamentale, i suoi occhi piacevoli e commossi al contempo hanno raccontato di progetti in cui crede, insieme alle mitiche insegnati Antonella e Concetta.
Pietro Becattini ha introdotto e riassunto i punti salienti che hanno portato alla scelta di far rappresentare ai detenuti Pinocchio. È una favola che si focalizza sulla crescita di ognuno. Il coinvolgente monologo che si è potuto vivere con le lacrime agli occhi ha evidenziato le modalità con cui si cresce nelle varie sfere della vita, Pinocchio in fin dei conti è una schietta analisi delle latitudini e delle longitudini della nostra società. Anche i messaggi negativi espressi dai vari attori hanno validità di funzione. Le risate che suscitano i personaggi della favola collodiana, originalmente interpretati dai detenuti, sono omaggio al teatro stesso e dimostrano che anche momenti di leggerezza possono creare spunti di riflessione.
Sottolineata, più volte, durante lo spettacolo, l’importanza del tempo. Il tempo si perde, si guadagna, è sospeso, ma mai è sprecato o buttato. Spunti su spunti, insomma, capita che per ricordare si smette di vivere, la spesso stucchevole aspetto della burocrazia rappresentato dalla balena. Mai fermarsi alle apparenze, utile scontarsi con la realtà. Sovente le storie inventate aiutano dove i mortali non possono arrivare. Riferimenti ironici alla legge Basaglia, hanno posto l’attenzione su tematiche rilevanti.
Ennesima dimostrazione quella che hanno voluto concretizzare i detenuti del Carcere di Sulmona per cui è vero che, il teatro è sicuramente un luogo dove tutto è finto, ma nulla è assai lontano dalla quotidianità che ognuno vive.
Le parole burattino e marionetta si sono alternate più e più volte, fino all’umanità raggiunta da Pinocchio. Spontaneo chiedersi: “Conviene davvero diventare umani?”
Sull’umanità bisogna continuare a scommettere, a investire, a lavorare! Solo così le favole potranno meglio evidenziarne le pecche e indirizzarne l’agire e l’operato verso il giusto, il buono ed il sano. Quanto vissuto e fatto vivere, dai detenuti della Casa di reclusione di Sulmona, è la “bolla papale” in tal direzione. Gli errori sono necessari per diventare e restare umani.
Cesira Donatelli