SULMONA– I risultati elettorali e i dati sull’astensione in Francia e in Italia, vanno attentamente valutati in quanto esprimono la sfiducia dell’elettorato per i partiti al governo e, rivelano incognite future di difficile soluzione.
I segnali che vengono dalle elezioni francesi e italiane nella loro diversità e specificità, confermano a distanza di tempo dalle elezioni in Germania, dove si erano chiaramente palesate, le due tendenze dell’elettorato di oggi: la sua volatilità e la sua distanza dal sistema politico istituzionale che, sia in Francia che in Italia, è quello democratico che per sua natura “naviga a vista“ o, per meglio dire, è sempre sull’orlo di una crisi esistenziale.
Già da qualche anno, l’avvento dei partiti populisti ha provocato un aumento dell’astensionismo e, messo in evidenza, l’insoddisfazione dell’elettorato per il modello economico dominante, a suo vedere, incapace di distribuire equamente il dividendo della crescita economica.
Li dove le democrazie sono avanzate, è difficile tenerle insieme e i governi sono in perenne affanno. Il Covid e la guerra in Ucraina sono stati un deterrente non da poco nell’evitare crisi di governo al buio e nel circoscrivere, da un lato le “piccole patrie”, i governi di destra, dall’altro nel rivitalizzare in Francia una “gauche “ alla deriva, la “gauche “ di Mélenchon, da qualche opinionista definito “il Chavez d’oltralpe senza il petrolio”, perfetto rappresentante di quella Francia barricadiera, populista e arrabbiata, che con i suoi gilet gialli, aveva così tanto affascinato il Di Maio della prima ora. Mélenchon ha dimostrato di essere un abile trascinatore di folle, molto più della Le Pen, ed ha saputo con l’intelligenza e l’esperienza del vecchio militante marxista, trasformare in forza parlamentare il senso di ingiustizia di milioni di francesi.
Sia in Francia che in Italia, il voto ha segnato l’ulteriore decomposizione del sistema partitico e la parlamentizzazione del dissenso e della rabbia, mentre una fetta sempre più larga dell’elettorato ha voltato ancora una volta le spalle alla politica, indifferente ad un appuntamento così importante e decisivo.
Il dato dell’astensione va attentamente valutato perché esprime disinteresse e sfiducia nei partiti, rassegnata accettazione di uno status quo che, opinione diffusa, nessun politico è oggi in grado di cambiare, anche perché se l’ambizione dei politici che abbiamo è quella di rendere compatibile l’istanza di cambiamento con la giustizia sociale, l’operazione risulta quanto mai difficile perché continua a ridursi l’appoggio del ceto medio, l’unico ad essere interessato ad un sostanziale cambiamento.
Quattro anni fa, proprio pensando ad un cambiamento radicale del quadro politico, in Italia il Movimento 5 Stelle fu votato da un italiano su tre. Oggi non riesce ad avere candidati alle amministrative o, se li presenta, i risultati sono risibili. Il Movimento è figlio di una grande illusione, quella di pensare che bastasse un “vaffa“ per cambiare la classe politica esistente, vecchia ed obsoleta e risolvere così i problemi del nostro Paese, invece i nuovi rappresentanti del popolo si sono presto dimostrati quelli che erano: un misto di improvvisazione e demagogia, con l’aggravante di pensare che, con i soldi pubblici si potesse dare a tutti un reddito senza creare lavoro e che, la crescita economica di un Paese non fosse il risultato di capacità di innovazione, competenze e competitività. Altro che uno vale uno !!!
La realtà ha rapidamente superato l’illusione segnando il progressivo, lento, irreversibile logoramento del quadro politico, la moltiplicazione delle leadership, sempre più plurali e passeggere, non in grado di riposizionarsi strategicamente. In sintesi, i sistemi politici delle democrazie occidentali non hanno più trovato assetti adeguati e, senza più punti stabili di riferimento, riuscire a “cavalcare l’onda“ è molto difficile, può riuscire nel medio termine, per una stagione, poco più poco meno, ma presto si torna al punto di partenza.
Angela Casilli