L’Aquila,17 luglio Il telescopio spaziale “James Webb” ha trasmesso in questi giorni l’immagine di una porzione di universo che si trova a 13 miliardi di anni-luce, cioè a soli – si fa per dire – 400 milioni di anni dopo il cosiddetto “Big Bang”, quando il cosmo era, per così dire, ancora bambino. È facile capire, anche a chi è digiuno di astrofisica, che nell’universo tempo e spazio sono due facce della stessa medaglia: il “dove” e il “quando”, queste due categorie aristoteliche della realtà sostanziale, di fatto coincidono. È questo un concetto che abbiamo cominciato a far nostro a partire dalla cosiddetta “rivoluzione copernicana” e dalla invenzione di telescopi sempre più potenti.
Ma tutto questo ci “tocca” anche l’anima. Io che scrivo, quando ero bambino, nelle sere d’estate, sdraiato sopra un muretto vicino a casa mia, mi mettevo a contemplare lo spettacolo del cielo stellato. Avendo appreso dalla maestra che il nostro pianeta è una piccola trottola che gira nello spazio, m’immaginavo di essere dentro un’astronave e di guardare, attraverso il finestrino, gli spazi infiniti e gelidi. Mi sforzavo di penetrare oltre il buio, figurandomi altri mondi ed altri volti.
Oggi riusciamo a vedere immagini che la luce, che viaggia ad una velocità inimmaginabile per la mente, ha impiegato 13 miliardi di anni per “portarcele”. Più andiamo a fondo nella distanza e più andiamo indietro nel tempo: un miracolo della conoscenza umana, una rivoluzione epistemologica di portata cosmica (è proprio il caso di dirlo).
Eppure questo infinito che ci affascina e ci intimorisce, in qualche maniera non ci sarebbe se la nostra coscienza, che non si rassegna all’idea di essere emersa per caso, non avesse avuto già nel suo programma e nel suo destino la scoperta di questa infinita realtà che la sovrasta. In altri termini, la materia inerte e la materia pensante non si sarebbero potute incontrare se non si fossero potute compenetrare l’una nell’altra. I due infiniti, quello che è dentro di noi e quello che è fuori di noi, non potevano non intersecarsi, giacché sono fatti, in fondo, di una medesima sostanza. La coscienza è della stessa stoffa dell’universo: siamo polvere di stelle, sia in senso materiale che in senso spirituale. Spirito e materia sono destinati a rincorrersi.
La chiave di lettura dell’universo rimane il mistero, e scienza, filosofia e poesia sono timbri di un’unica voce.
Quanto sembrano piccole e meschine, al confronto con questi spazi infiniti, le nostre beghe, i nostri egoismi, e quanto appaiono insulse le volontà di potenza che si agitano in questa nostra microscopica “aiuola che ci fa tanto feroci”. Se in questa immensità noi esseri umani finissimo per scoprirci soli, questo dovrebbe essere uno stimolo potente a stringerci e tenerci per mano.
Ma non siamo soli: prima del “Bing Bang” e dopo, quando la scena sarà scomparsa, c’è stato e ci sarà un Amore infinito, come l’universo che l’immagine del telescopio “James Webb” ci ha fatto intravedere. Dal nulla non si crea nulla…
Giuseppe Lalli