Sulmona, 27 dicembre- Non sono le armi ad essere di distruzione di massa, lo è la guerra stessa, sin dal momento in cui viene dichiarata! Una guerra distrugge i luoghi in cui si consuma, le persone su cui si accanisce, le generazioni che la vivono e gli eredi più prossimi, per non citare la mortificazione e la mutilazione spirituale che vivono coloro, che da sempre, hanno inteso costruire la pace quale fondamento di diritti e principi di libertà.
Dopo aver letto le testimonianze raccolte da Giovanna di Cecco di Marino in PIZZOFERRATO Eventi bellici del 1943, non si può che provare rabbia, desolazione e sconforto al contempo. Ci si ritrova dentro pagine, che nonostante quello che sono costrette a narrare e a testimoniare, trovano lo spazio per riportare qualche usanza, qualche regola di buon costume. Esemplari le righe in cui la scrittrice riesce a far emerge l’infinità immensità del bene e della fratellanza, contro cui non può nessun’arma e nessun mitragliamento.
Portano al sorriso i capoversi in cui la neve, l’amata neve dei Monti Pizzi, detta le regole e i tempi di viaggio, si torna indietro di molto quando si legge che le ragazze fidanzate non potevano uscire da sole, quando si scopre che la gente di Pescocostanzo insieme a quella proveniente dalla Puglia dividono cibo e riparo come fossero stati allevati da una stessa madre.
La maestra Giovanna arriva Turchi, frazione di Pizzoferrato nel 1955, quando teoricamente il peggio è passato, la guerra è finità. La guerra però, per i luoghi e gli animi che la vivono in prima persona, non finisce mai! Lo si capisce dai documenti che l’insegnate raccoglie e dalle voci dei sopravvissuti che collaborano per la realizzazione di questo libro-testimonianza. Tutti pronti a raccontare nonostante il fardello interiore, perché è giusto sapere è giusto urlare l’ingiusto subito. Perché non si abbia a dimenticare, seppur l’uomo sia portato a dimenticare e a reiterare!
Pensare che il 25 dicembre del 1943 qualcuno si salvò all’interno di un casolare in quel di Pizzoferrato perché si finse morto, pensare che a quelli che furono trucidati i soldati tedeschi avessero offerto un bicchiere di vino, prima di metterli faccia al muro e ucciderli, distrugge.
…Era nato soltanto da poco il re della vita, quando a Turchi si preparavano ore di morte…la guerra era lì pronta, sempre in agguato con le sue atrocità, ma nessuno se l’aspettava proprio il giorno di Natale…
Pensare che a nulla è valso tanto dolore, oggi tutto si ripete come se si attingesse da un copione sempre in cerca di feroci attori e sventurate vittime. E’ uguale il freddo, è uguale il sangue, è uguale la morte, è uguale il dolore, è uguale il “fogliame umano” che brama alla carneficina.
Le cifre, i fatti e le vicende sono agghiaccianti. A Pizzoferrato furono 18 gli orfani durante la Prima Guerra Mondiale, 80 quelli creati dalla Seconda Guerra Mondiale. Uomini rastrellati sui posti di lavoro, le voci di morte e la neve sporca di sangue divennero pane quotidiano per la povera gente che si trovò, suo malgrado, lungo la Linea Gustav.
Ha del nobile la frase di una vedova, madre di otto figli e incinta di Ninetta, che per mesi si reca a piangere sui resti del marito ucciso dai tedeschi: “J so’ come Ddije, vuojje bben’ a tutt’!” (Io sono come Dio voglio bene a tutti!).
Ogni racconto, ogni poesia, ogni lapide posta a memoria, tolgono il fiato, tutto originale, la scrittrice non apporta nessun registro linguistico diverso da quello dei protagonisti narranti. Talmente tagliente e vero quello che si legge che si avverte il dovere e il rispetto di dare una voce a Peppino, Felicetta, Giannina, Mario o a Celestino. Quest’ultimo può sembrare addirittura ironico, ma non lo è affatto, quando dice:” Uccisero quello vicino a me, però a me che tenevo otto anni non mi hanno ammazzato. Significa che dentro di loro c’era un limite, nemmeno per loro valicabile. Allora subentra il mio perdono, ho capito che la ferocia aveva un limite”.
La fecondità alla vita di chi cerca di tenere a bada l’odio, non dando colpe a nessuno, perché la guerra non la vogliono i soldati che la combattono, è una forma di educazione altissima, è vera e propria scuola di vita.
Quando Celestino di Nardo, durante la registrazione su audio cassetta della sua testimonianza, afferma che la guerra, per lui, è cominciata quando si è trovato di fronte alle conseguenze generatesi per la morte di suo padre, si ha la sensazione di veder crollare, sotto le mine e le mitragliatrici, tutte le fondamenta su cui si regge una famiglia.
Strugge leggere che la guerra ha l’immeritato potere di mietere vittime anche quando è finita! Le bombe disseminate ovunque uccidono a distanza di anni, si può saltare in aria quando il mondo è tornato alla normalità. Una sorta di cattiveria a scoppio ritardato.
Sovente il volto viene solcato da lacrime nel mentre lo scritto lascia spazio a foto, a documenti. Le immagini di questo libro, quasi sacro, raffigurano grandi uomini e grandi donne che hanno resistito in vita e in morte in nome della loro libertà e della loro dignità.
Pacifico stabilire che le foto presenti in questo volume sono opposte fra loro, compaiono uomini che si sono spesi per proteggere le loro terre e la loro vita, militari che impartirono ordini disumani, formazioni di aerei alleate e non, grotte che hanno garantito salvezza, casolari distrutti che fino all’ultima tegola hanno dato riparo, documenti e denunce che non sempre hanno portato alla condanna dei colpevoli, ma tutto deve esserci, tutto deve imprimersi sulla carta, non fosse altro che per dar lustro e plauso a chi ha rinunciato a vivere per garantire la vita ad altri.
L’elevata preparazione di Giovanna di Cecco di Marino l’elemento distintivo di questa libro-documento, che poco lo colloca fra i tanti del genere, caratterizzandolo per la capacità di far emergere la corale che si leva dal popolo, da quella gente che ha subito, che porta il peso delle vite perse e lo onora con continuo rispetto e ammirazione fervida. La memoria delle istituzioni dei palazzi può vacillare, quella degli indigeni può solo fortificarsi.
Quanto accaduto, accade e continuerà ad accadere se la guerra non verrà “castrata “per sempre!
Cesira Donatelli
PIZZOFERRATO – Eventi Bellici del 1943
Ricordi e testimonianze Giovanna di Cecco di Marino
(Ianieri Editore)