di Fulvio Giustizia *
L’AQUILA – Già dal 13 dicembre 1798, quando i Francesi, occupando Cittaducale e Antrodoco avevano oltrepassato i confini della Provincia d’Abruzzo, i vari paesi del circondario aquilano erano stati invitati a mobilitarsi, preparandosi a difendersi in tutti i modi, sia con armi proprie che improprie, come risulta dall’ordine del giorno di un “Pubblico Parlamento” di Calascio, che qui riferiamo.
«Calascio 13 Xbre 1798. Pubblico e generale Parlamento (…): Si propone alle Signorie Vostre che il Regio Governo locale di Capestrano nel comunicarci di essere state invase le frontiere di questa Provincia, e propriamente Città Ducale, ed Introdoco da un copioso numero di Nemici, ci prescrive di allistare tutte le persone che saranno atte alle Armi, e al maneggio delli Rurali Stromenti e tenerle pronte ad ogni ulteriore disposizione; con restringere ancora tutte le Armi, e Stromenti suddetti, potendo acquistare la munizione da chiunque ne abbia de benestanti». (Archivio Com. Calascio, Libro dei Parlamenti, c. 186r).
Prima di entrare nello specifico del nostro intervento, la strage di religiosi e non a S. Bernardino, occorre ricordare che, nella sua prima invasione dell’Italia del 1799, il generale francese Etienne J. J. A. Macdonald aveva promulgato una feroce legge, carica di odio contro tutti i rappresentanti delle istituzioni religiose ed ecclesiali. Ne riferiamo qui alcuni punti salienti.
«Ogni terra o città ribelle alla repubblica sarà bruciata e atterrata; i cardinali, gli arcivescovi, i vescovi, gli abati, i curati e insomma tutti i ministri del culto saranno tenuti colpevoli delle ribellioni de’ luoghi, dove dimorano, e puniti con la morte; il suono a doppio delle campane è vietato; dove avvenisse, gli ecclesiastici del luogo ne sarebbero puniti con la morte» (Fr. Diomede Falconio, O.F. M. Cardinale dei S.R. Chiesa, I Minori Riformati negli Abruzzi, vol. I, Roma Tip. Naz. G. Berterio, 1913, p. 136).
Con toni apparentemente più concilianti, Il 19 dicembre 1798, il Generale di Divisione Lemoine aveva pubblicato, dal quartiere generale dell’Aquila, il seguente proclama:
«Agli Abitanti delle Città e campagne comprese nell’estensione del di lui Comando.
Cessino una volta i vostri timori, infelici Abitanti. I francesi sì terribili nel combattimento, divengono umani dopo la vittoria e la loro gloria si è il perdonare. (…) Secondo le leggi della guerra, la città dell’Aquila doveva essere saccheggiata, bruciata; e gli abitanti passati a filo di spada, ma che io ordinassi una tale sciagura non era analogo alla sensibilità del mio cuore (…) Abitanti intimoriti ritornate alle vostre Case, Mercanti riaprite i vostri Magazzini, Artisti restituitevi al lavoro e voi utili Agricoltori riprendete i vostri Aratri (…) Deponete le armi e la tranquillità rinascerà nelle vostre fertili Contrade: non ascoltate più le voci di chi vi seduce e v’inganna, la vostra Religione, i vostri Altari, le vostre Persone, le vostre Proprietà saranno rispettate: io ne impegno la mia parola d’onore ». (G. Rivera, L’Invasione francese in Italia e l’Abruzzo Aquilano dal 1792 al 1799, Estratto dal Bollettino di Storia Patria negli Abruzzi, L’Aquila, Premiata Tip. Aternina 1907, pp. 52-53).
Queste parole non convinsero affatto alla resa gli Aquilani i quali, due mesi più tardi, il 3 marzo 1799, grazie alle varie forze di volontari dei paesi vicini, guidate dal Generale Giovanni Salomone, riuscirono a catturare un buon numero di francesi per poi imprigionarli nel Castello cinquecentesco. Nei giorni seguenti del 10 e 17 marzo, Domenica delle Palme, si ha un inusuale intervento, non del tutto “spirituale”, del Generale Salomone, che si espone in prima persona nel richiedere, mediante due atti notarili del Notaio Nicola Zampetti, l’attestato di un’apparizione di S. Bernardino nella prima data e, nella seconda, un altro attestato per una analoga manifestazione di S. Equizio. Miracoli ovviamente considerati un incoraggiamento dei due Santi alle truppe coalizzate per la difesa della città dell’Aquila e anche per richiamare all’ordine alcuni “scostumati membri delle Masse”, che per loro interesse personale avevano distrutto, nel giorno 3 e tra il 9 e il 10 marzo, vari documenti dell’Archivio Civico e del Regio Tribunale.
Trascriviamo dunque dall’Archivio Notarile, i protocolli dei due eventi soprannaturali attestati da Nicola Zampetti, a prescindere dalla credibilità o meno dei fatti miracolosi narrativi, sui quali, nonostante l‘affermata presenza di uomini di Chiesa, definitisi testimoni oculari, non spetta a noi pronunciarci. Nel primo atto notarile si afferma:
«Die decima mensis Martii 1799 – Aquilae. A richiesta del Signor D. Giovanni Salomone Comandante in capite delle truppe coalizzate. Noi qui sottoscritti Notar Nicola Zampetti e Notar Francesco-Nicola Panosetti di questa Città, ed Antonio Mastracci di Paganica Giudice a contratti, Provicario della Curia Vescovile Canonico Don Giuseppe Marj; Canonico Don Francesco Palitto; Canonico Don Giuseppe Farinosi; Sacerdote Don Luigi Cocciante di Rocca di Mezzo, Sacerdote Don Tommaso Marinacci di Ovindoli, Don Domenico Sacerdote Salvatore, e Don Gaetano Castrati, in virtù di questo pubblico atto da valere ubicumque, e che sarà riportato in pubblica forma nei nostri protocolli, facciamo vera, certa, reale ed indubitata fede, qualmente oggi dì suddetto, su le ore diciotto in circa si è con nostro stupore ed ammirazione veduto sulla cuppola della Chiesa di San Bernardino da Siena uno de’ principali protettori di questa Città girare intorno di essa lo stesso San Bernardino con una fascia rossa, il quale dopo aver fatti molti giri intorno a detta Cuppola, salì sopra la palla, quindi salito su la Croce e fatti alcuni giri se ne salì verso del Cielo (…). A quale miracoloso spettacolo accorse lo stesso Signor Comandante con tutta la Truppa e un immenso popolo della Città, ed al sono di tutte le campane della medesima, si fece quell’allegria che non si può esprimere – Riempiti di giubilo tutti i cittadini si beffavano de’ tiri del cannone che facevano nel castello gli nemici, e dopo gl’immensi evviva del popolo, i ringraziamenti al santo protettore dallo stesso popolo, si ritirassimo tutti nelle nostre case con una interna consolazione e fiducia, ritornò in noi una calma sufficientissima. _ Acciocché tosto costi un miracolo così stupendo, anche ad onore e gloria del nostro santo protettore abbiamo fatto il presente a futura memoria delle cose e per esempio di chi realmente confida nella protezione de’ Santi».
Nel secondo atto notarile si attesta, con una numerosa partecipazione di testimoni, quanto segue:
Die decima septima mensis martii 1799 – Aquilae
A richiesta del Sig.re D. Gio: Salomone generale delle masse delle Università Coalizzate. Personalmente costituiti alla nostra presenza il Signor Duca di Paganica D. Gio: de Costanzo, il Signor D. Biage Dragonetti, il Rev.do D. Gaetano Castrati, il Rev.do D. Domenico Lonchi, il Rev.do D. Gio: Turcone, il magnifico Domenico Antonetti, il Mag.co Vincenzo Biondi, il Mag.co Geatano Tomaj, il Mag.co Carpofaro Broggi, il Mag.co Antonio Testone, il Mag.co Giuseppe Palesse, il Mag.co Giuseppe Marsili, il Mag.co Notar Niccola Panosetti, il Mag.co Vincenzo Colageo, il Mag.co Domenico Marini, tutti di questa Città, i quali spontaneamente e non per forza, ma per dar luogo alla verità, attestano, e fanno fede, come Oggi sopradetto Giorno, e propriamente sulle ore 15 in circa con di loro sommo stupore ed ammirazione hanno veduto ocularmente intorno la base della Campana che tiene l’orologio di Palazzo, girare il Glorioso S. Equizio, vestito, con i segni di Vescovo [correggi: di abate] e dopo aver fatti alcuni giri intorno a detta Campana salì nella sommità e poi disparve.
L’immenso popolo accorse, i gridi giulivi di epso giunsero quasi alle stelle, indi tutto il Popolo si portò nella Chiesa di S. Margherita poco distante da detta Torre, dove riposano le Ossa di detto Sancto e nell’altare a lui dedicato, si cantarono dal Capitolo di detta Chiesa le solite preci in onore e ringraziamento di Jddio, e del detto S. Protettore. Ancorché dunque costi questo stupendo miracolo a Posteri, che verranno, hanno fatto il presente che da me suddetto Notaro sarà riportato in Protocollo per ogni futuro documento. Unde etc.
E infine rivolgiamo la nostra attenzione ai tristi avvenimenti del 23 marzo 1799, quando 500 Francesi, entrati in città dopo aver sfondato Porta Barete e liberati i loro che erano prigionieri nel Castello, si recarono a saccheggiare il Convento di S. Bernardino, uccidendo frati e fedeli che vi si trovavano raccolti, verificandosi così quanto il Santo protettore della Città, nella sopra descritta apparizione sembra aver voluto significare mostrandosi munito, non a caso, di una fascia rossa, come evidente segnale di un imminente martirio.
Trascriviamo testualmente da P. Antonio D’Antonio, S. Bernardino, da ieri a oggi (Cartografital, Montesilvano 1980, pp. 211-212).
«Era il sabato santo. Saccheggiarono chiese, comunità d’ambo i sessi, case patrizie. A S. Bernardino furono uccisi 27 religiosi e 22 borghesi: M.R.P. Bernardino da Borbona, M.R.P. Giovanni da Introdacqua, P. Geremia Vitoantonio da Barisciano, P. Gaetano da Calascio, P. Bonaventura da Paterno, P. Bonaventura da Calascio, P. Romualdo da Caporciano, P. Gianfrancesco da Aquila, P. Angelantonio Terrini di Aquila, P. Pasquale Matergia da Barisciano, P. Bernardino da Picenze, P. Giuseppe M. Ciotti di Teramo, Fra Daniele di Donato da Cugnoli, Fra Diego da Introdacqua, Fra Bernardino da Fossa, Fra Francesco da Introdacqua, Fra Pietro da Villa S. Lucia, Fra Pasquale da Tornimparte, Fra Francesco da Antrodoco, Fra Michele da Forcella, Fra Celestino da Fano Atriano, Fra Giuseppe Marini di Poggio Picenze, Fra Antonio da Paganica, Fra Domenico di Lauro da Tione, Fra Donato da Guardia Vomano, Fra Luigi da Paganica, Fra Bonaventura da Paganica (…). Non risparmiarono neppure il Corpo di S. Bernardino. Lo scaraventarono a terra per rubare la cassa d’argento costruita nel 1550 e che costò 14.000 scudi, e l’argento dell’urna».
La cassa, insieme ad altri argenti di arredi sacri, sarebbero dovuti servire ad estinguere, come taglia per diritto di conquista, la somma imposta dai Francesi all’Aquila di ben trentaseimila ducati. Questa tragica, quanto dissacrante strage, aggiungiamo noi, fu fatta nel nome di un’ipocrita ostentazione, soltanto a parole, del noto motto “liberté, egalité, fraternité”. Una amara realtà che anche oggi, nel XXI secolo, ci tocca da vicino per le diffuse guerre e relativi eccidi, che hanno purtroppo radici lontane e che non vanno assolutamente giustificati né in nome di Dio né in nome di qualsivoglia ideologia.
Per concludere, dal momento che siamo alla vigilia del 225° anniversario del drammatico avvenimento, ci sia permesso di rivolgere un appello agli attuali Religiosi di San Bernardino, perché vogliano considerare l’opportunità di affiggere, all’interno della chiesa, una lapide che ricordi le 49 vittime del 1799, con in più l’iniziativa, il 23 marzo di ogni anno, di celebrare per loro, e per tutte le vittime di guerra di ogni epoca, una partecipata Eucaristia, aperta a tutta la cittadinanza aquilana.
*Storico, archeologo paletnologo, deputato di Storia Patria Abruzzo