Nel sessantesimo anniversario della sua elezione, una riflessione sulla figura del pontefice apostolo.
di Mira Carpineta*
SULMONA– Il 21 giugno 1963 veniva eletto al trono di San Pietro, Giovanni Battista Montini, che scelse di chiamarsi Paolo VI, ispirato all’apostolo considerato il più grande annunciatore di Cristo.
Da un piccolo paese del bresciano, Concesio, e da una famiglia di fervente fede cattolica, il giovane Montini iniziò molto presto la sua carriera diplomatica nella Curia romana. Colto, raffinato, studioso, abile nella scrittura, partecipò alla stesura dell’appello di pace che Papa Pacelli lanciò per radio il 24 agosto 1939, alla vigilia del conflitto mondiale: «Nulla è perduto con la pace! Tutto può esserlo con la guerra».
La Storia lo ricorda come infaticabile messaggero di Pace. Con Paolo VI il Vaticano apre le porte al mondo, come pellegrino visiterà molti luoghi teatri di sanguinosi conflitti.
Succeduto a Giovanni XXIII, la sua prima volontà fu condurre a termine il Concilio Ecumenico Vaticano II fortemente voluto dal suo predecessore. Il rinnovamento della Chiesa iniziava il suo percorso.
Instancabile nella ricerca di comunicare e riconciliare tutte le religioni, in quel periodo affrontò i primi tre dei nove viaggi che nel corso del suo pontificato lo portarono a toccare i cinque continenti, oltre alle visite in Italia: nel 1964 si recò in Terra Santa e in India, e nel 1965 a New York, dove pronunciò uno storico discorso davanti all’assemblea generale delle Nazioni Unite. Importanti modifiche promosse anche nelle strutture del governo centrale della Chiesa, creando nuovi organismi per il dialogo con i non cristiani e i non credenti e istituendo il Sinodo dei vescovi.
Numerose le encicliche dedicate alla sacralità della vita, alla condizione umana, alla Pace, con esortazioni appassionate al rispetto dell’Uomo e della sua dignità in ogni contesto sociale.
Un politico, senza dubbio, con grande talento diplomatico, ma che non esitava ad esporre la sua sincera umanità, come il suo accorato appello per la liberazione di Aldo Moro, lo statista democristiano rapito e ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978:
“Io scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse: restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile l’onorevole Aldo Moro. Io non vi conosco, e non ho modo d’avere alcun contatto con voi. Per questo vi scrivo pubblicamente, profittando del margine di tempo, che rimane alla scadenza della minaccia di morte, che voi avete annunciata contro di lui, Uomo buono ed onesto, che nessuno può incolpare di qualsiasi reato, o accusare di scarso senso sociale e di mancato servizio alla
giustizia e alla pacifica convivenza civile. Io non ho alcun mandato nei suoi confronti, né sono legato da alcun interesse privato verso di lui. Ma lo amo come membro della grande famiglia umana, come amico di studi, e a titolo del tutto particolare, come fratello di fede e come figlio della Chiesa di Cristo. Ed è in questo nome supremo di Cristo, che io mi rivolgo a voi, che certamente non lo ignorate, a voi, ignoti e implacabili avversari di questo uomo degno e innocente; e vi prego in ginocchio, liberate l’onorevole Aldo Moro, semplicemente, senza condizioni, non tanto per motivo della mia umile e affettuosa intercessione, ma in virtù della sua dignità di comune fratello in umanità, e per causa, che io voglio sperare avere forza nella vostra coscienza, d’un vero progresso sociale, che non deve essere macchiato di sangue innocente, né tormentato da superfluo dolore… 21 agosto 1978”.
Con lo statista cattolico condivise la visione e il progetto di una riconciliazione sociale, dopo il periodo di ricostruzione del dopoguerra e gli impulsi del Concilio. Mentre Moro cercava il “compromesso storico” con la nascente sinistra italiana post bellica, incarnata da un altro grande uomo di pace, Enrico Berlinguer, Paolo VI cercò il riavvicinamento tra le religioni e l’apertura alla Nuova Società che reclamava un approccio diverso, meno ortodosso, più pragmatico e inclusivo dopo le sofferenze conseguenti al conflitto.
Molto determinante per l’evoluzione del pensiero e della catechesi di Paolo VI fu anche l’incontro e le affinità intellettuali con il filosofo J. Maritain, con il quale ebbe una lunga e fitta corrispondenza. Nelle riflessioni del filosofo si ritrovano numerosi punti di contatto con l’apostolato del Pontefice: “noi abbiamo due case, una quaggiù nel mondo, che dobbiamo popolare e migliorare, la “città dell’uomo”, anche se sappiamo che è una dimora provvisoria, perché ne abbiamo un’altra in cielo nel “Regno di Dio” alla quale possiamo accedere solo se avremo vissuto nell’amore fraterno quaggiù, come ci avvisa il Vangelo”- dichiara il filosofo su Le Monde del marzo 1973- Quindi un giorno verrà (è la mia speranza per le nuove generazioni) che questa grande Patria che è il Mondo, ritroverà in buon parte, in mezzo a nuovi mali secondo la legge della storia del mondo, il vero fine per cui è stata creata e una nuova civiltà darà agli uomini, non certo la perfetta felicità, ma una condizione più degna e più felice di vita sulla terra. Perché io penso che la stupefacente pazienza di Dio non si sia esaurita e che il giudizio finale non sia per domani” .
Paolo VI percepì appieno il significato profondo insito in questa “profezia”.
In ogni discorso, enciclica, omelia o motu proprio, il suo impegno e la sua attenzione sono sempre stati focalizzati sulla condizione umana, le sue sofferenze, i pericoli, la Speranza in una “redenzione universale”.
Cosa rimane, nel 2023, di questa eredità intellettuale e di Fede?
Una incredibile attualità: dalla guerra in Ucraina alla spinta sempre più aggressiva del capitalismo liberista che è arrivato a mercificare e oggettivizzare i corpi delle donne e dei bambini – solo due esempi tra i tanti mali che affliggono il mondo di oggi – le parole di questo pontefice dalla voce sommessa, pacata, ma potente, continuano a focalizzare l’attenzione e ad esortare la società tutta, non solo quella cattolica, ad una riflessione necessaria e fondamentale: il pericolo di una secolarizzazione senza valori e principi etici, ancorché senza Speranza, che attenta inesorabilmente e incessantemente alla sacralità e inviolabilità della dignità dell’Essere Umano in quanto destinatario del progetto Divino.
*giornalista