Sulmona, 11 dicembre- “La comunità Abruzzese e Peligna si sta ribellando con forza e decisione contro il progetto di Mega-Gasdotto SNAM, l’ennesimo crimine ambientale consistente in una gigantesca opera costosissima, che sventrerebbe il cuore dell’Appennino andando da Sulmona a Bologna, abbattendo qualcosa come 5 milioni di alberi”. Lo scrive in una nota Franco Tassi, biologo, entomologo e scrittore, è stato Direttore del Parco nazionale d’Abruzzo dal 1969 al 2002 ed è Presidente del Centro Parchi Internazionale intervenendo nel dibattito che in questi ultimi giorni è tornato ad infiammarsi dopo le recenti iniziative del Comitati cittadini per l’ambiente
“ Mentre a livello internazionale- spiega Franco Tassi- i potentati della terra proclamano misure epocali di contrasto allo sconvolgimento climatico, e mentre la vulgata nazionale spergiura di volere una transizione ecologica, questa miope religione “green” si tinge sempre più del marrone della terra che alle prime piogge, denudata di copertura boschiva, precipiterà rovinosamente a valle, suscitando le consuete lamentazioni contro le “calamità naturali”. Che in realtà sono disastri tutt’altro che “naturali”, perché l’uomo non ne è la vittima innocente, ma la principale causa. La politica di crescita infinita e la corsa sfrenata al profitto spingono infatti il mondo in direzione opposta, incurante del massacro sistematico degli ecosistemi naturali.
Gli ambientalisti, guidati da Mario Pizzola leader dei comitati cittadini per l’ambiente, sono insorti in massa per bloccare il “serpentone” (la cosiddetta Rete Adriatica, oggi ribattezzata Linea Adriatica), un megatubo di 430 km scavato attraverso 6 regioni, 42 corsi d’acqua e molti importanti territori boscosi, ricchissimi di biodiversità, protetti come SIC e ZPS, e inclusi nella rete europea Natura 2000. In questo modo, aggredirebbe le aree più sismiche del Paese, provocando, in spregio alle norme di tutela nazionali e internazionali, enormi danni sul piano paesistico, ecologico, storico, archeologico, idrogeologico e climatico.
Ancor più stupefacente tuttavia– si legge ancora nella nota- è la replica dei cementificatori, che pur di non rinunciare a lauti guadagni sarebbero disposti a procedere nel sottosuolo, scavando interminabili gallerie. Senza preoccuparsi affatto di dove andrà a finire il materiale di risulta, né di cosa accadrà alle falde idriche sotterranee, che fungono da insostituibili ammortizzatori nelle zone carsiche. E forse dimenticando cosa avvenne ad Avezzano dopo il prosciugamento del Fucino, all’Aquila dopo lo scavo di tunnel al Gran Sasso, e nei territori nordorientali con la tecnica invasiva del “fracking” (sui cui effetti disastrosi sarebbe bene interpellassero l’esperta Maria Rita D’Orsogna). Questa ennesima mega-opera devastante, se comporterà enormi costi (€ 2,6 miliardi e più caricati per 50 anni sulle nostre bollette), risulterà poi del tutto inutile, dato che, considerata la situazione energetica, è ben noto che non trasporterà mai metano, né risolverà alcun problema energetico”.