di Giuseppe Arnò *
Sulmona, 1 ottobre– Con queste parole Alberto Sordi, ne “Il Marchese del Grillo”, si giustifica con Papa Pio VII per aver fatto suonare a morto le campane di tutta Roma, come accade solo quando muore un Papa.
“È morta la giustizia. Io avevo fatto un torto ad un povero falegname giudio ma sono riuscito, corrompendo […] a far condannare quel poveraccio solo perché lui povero e giudio e io ricco e cristiano “. Il Papa lapidario risponde: “Ricordati figliuolo, la giustizia non è di questo mondo ma dell’altro”.
Attraverso “Il Marchese del Grillo” il regista Mario Monicelli fa presa d’atto di una triste realtà. Una realtà, purtroppo, esistita ieri e che esiste tutt’oggi: la fallacia della legge e della giustizia! Certo non è facile fare autocritica ovvero riconoscere i propri errori, i propri fallimenti e farne ammenda, ma principalmente politica e giustizia o legge e giustizia che dir si voglia, valori su cui si fonda il convivio umano, se affette da fallacie formali o informali vanno indiscutibilmente purgate.
Già i classici (Platone e Aristotele) considerano come uno dei valori fondamentali della riflessione politica il concetto di giustizia. Aristotele associa di forma inscindibile detto concetto ad altri due, “legge” ed “uguaglianza”: «Dura lex, sed lex” (la legge è dura, ma è legge) e “Lex aequa omnia est “La legge è uguale per tutti”. In parole povere si stabilisce che sia ingiusto violare la legge e che essa debba essere uguale per tutti, così come troneggia nella scritta delle aule dei tribunali.
Politica e Giustizia
Ma come vanno effettivamente le cose?Beh, cominciamo col dire che la Costituzione italiana (art.105) riconosce una forma di autogoverno ai giudici, al fine di assicurare l’autonomia e l’indipendenza dell’ordine giudiziario dai poteri legislativo ed esecutivo. Infatti il CSM (Consiglio Superiore della Magistratura) decide su tutti i provvedimenti relativi allo stato giuridico dei giudici: reclutamento, trasferimenti, promozioni, distribuzione delle funzioni e provvedimenti disciplinari. E quando un magistrato commette un reato saranno i suoi colleghi a giudicarlo. Fin qui tutto filerebbe liscio se di tanto in tanto non ci mettesse lo zampino una corrente di giustizia c.d. politicizzata, che rompe l’equilibrio tra i poteri e la “Pacem in Terris” per dirla con Giovanni XXIII (il Papa Buono). Ovverosia accade, dappertutto e non solo da noi, che a volte si giudichi o si proceda a una inchiesta giudiziaria ideologicamente, senza curarsi dell’inevitabile impatto sociale e, perciò, collocando in secondo piano le garanzie individuali e l’aspettativa di ottenere un processo giusto.
L’indipendenza della magistratura è il pilastro dello Stato di diritto ed è imprescindibile vuoi per il corretto funzionamento della democrazia vuoi per la salvaguardia dei diritti umani, ma, epistemologicamente parlando, questo assioma avrà valore solo se si dà per scontata l’imparzialità del giudice.
Vexata quaestio
L’imparzialità ovvero la terzietà, l’indipendenza, e la neutralità del giudice rimane tuttora un punto dibattuto e opinabile dal momento che non si è ancora stabilito in cosa essa consista. Il principale quesito, tra i tanti, è se e in che misura le convinzioni personali e politiche del magistrato possono inficiare una sentenza.
Il tempo passa e il nodo non si scioglie! Che fare? Invero di soluzioni per rafforzare il principio dell’imparzialità e dell’indipendenza dell’organo giudicante, pilastro fondamentale per un sistema giudiziario equo e credibile, ce ne sarebbero tante, ma bisognerebbe cambiare le leggi e la Costituzione.
Il giudice del futuro
In pratica, sappiamo che così tanti cambiamenti sarà difficile che avvengano in tempi brevi, per cui si potrebbe ricorrere a rimedi c.d. “interlocutori”, che già apporterebbero dei buoni risultati a favore dell’inderogabilità del menzionato precetto, l’imparzialità del giudicante. Tra i tanti, ad esempio, i test psico-attitudinali per i futuri magistrati, già introdotti dal governo, con decorrenza 2026.
A tal provvedimento non poteva non esserci la reazione del CSM, che ha rilevato una minaccia all’indipendenza della magistratura, ricordando «[…] come il governo autonomo della magistratura conosca già reiterate e continue verifiche sull’equilibrio del magistrato che viene sottoposto a valutazione dal momento del suo tirocinio e, successivamente, con intervalli regolari ogni quattro anni».
Il governo, dal canto suo, attraverso il ministro Nordio, ha chiarito che «non c’è alcuna interferenza da parte dell’autorità politica o del governo» sulla magistratura poiché tutta la procedura dei test «è sotto la gestione e la responsabilità del CSM». Altra misura intermedia potrebbe essere l’ulteriore riforma della responsabilità civile dei magistrati, oggi disciplinata dalla legge n. 117/1988, così come riformata dalla legge n. 18/2015 ovvero prevedere casi di applicabilità della responsabilità oggettiva e diretta dei magistrati e, per finire, assegnare al giudicante un consulente speciale: l’AI (Intelligenza artificiale).
È infatti innegabile che quest’ultima col tempo possa rappresentare un supporto sempre più rilevante in ambito giudiziario e che chi di essa se ne servirà, rendendo pressoché inquestionabili i propri processi decisionali, potrà rappresentare il giudice del futuro. E poi ancora, dall’IA, strumento di aiuto dei giudici, al “giudice robot” il passo è breve!
Arriveremo a tanto?
Beh… che dire… se “TacticAI” è un sistema di intelligenza artificiale in grado di prevedere il risultato dei corner e fornire indicazioni strategiche e concrete nelle partite di calcio, non è detto che “JudgementAI” non possa divenire, un domani non molto distante, il Consulente tecnico d’ufficio (CTU) ovvero il perito del giudice, da sempre peritus peritorum, o che addirittura non possa sostituirlo completamente.
A questo punto però sorge il dubbio se l’AI, applicata in ambito giurisdizionale, per meglio garantire l’imparzialità della giustizia, non metta a repentaglio l’umanità della stessa. Probabilmente sì, ma è pur vero che giustizia e umanità pur legate tra loro da motivi concettuali non costituiscono un binomio indissolubile: ci viene in aiuto il chiasmo ne “La caduta” del Parini che recita: “Umano sei non giusto”.
D’altronde i sistemi decisionali automatizzati già utilizzati nei Paesi europei costituiscono una prova lampante della graduale robotizzazione della giustizia. Il mondo cambia e il terzo potere dello Stato, che si voglia o no, non è come l’essere immutabile di Parmenide; anch’esso deve adeguarsi.
Suvvia, ammettiamolo: la credibilità dei giudici a livelli minimi unitamente agli scandali e al crollo dei grandi teoremi giudiziari sono un segnale forte e chiaro che invoca riforme e cambiamenti. Tant’è!
*direttore de La Gazzetta italo brasiliana