Sulmona: Il carcere non è un luogo di abbandono, di isolamento. È una parte della società.
Sulmona, 18 dicembre- Seppur le settimane sono trascorse, le temperature sono scese, qualche fiocco di neve ha dialogato con le cime che circondano la Casa di Reclusione di Sulmona, tutto quello emerso durante il convegno, “E ‘l modo ancor ci offende – da Dante ai giorni Nostri”, tenutosi lo scorso 29 novembre nella sala polivalente non è poi così lontano. Ogni singola riflessione è stata conservata e protetta con cura, nelle menti e negli intenti di tutti i partecipanti.
L’incontro in questione si è sviluppato, acquisendo sin dalle prime battute, contenuto e efficacia. Partendo dal libro-fumetto contro la violenza di genere E ‘I modo ancor ci offende, si è dato pulso ad un lavoro culturale e formativo che, i detenuti della Casa di Reclusione di Sulmona hanno portato avanti, con personale qualificato, ponendo il focus su personaggi femminili della Divina Commedia, indagando alcune delle protagoniste dell’opera dantesca nella vita privata e pubblica, che, purtroppo frequentemente non cammina lontana dalla violenza. Masciulli Edizioni la casa editrice che ha dato alle stampe l’opera. Una collaborazione editoriale che, si rinnova da più anni sposando le progettualità culturali del Carcere di Sulmona. Il libro si compone della prefazione della pluripremiata scrittrice Donatella di Pietrantonio. Tanti gli interventi e le interpretazioni di maestranze artistiche e professionali che hanno cesellato una nuova via alla possibilità, al riscatto, al recupero. Un pomeriggio insolito, armonizzato e tenuto insieme dagli spunti e dagli input competenti, attenti e colmi di sensibilità, della giornalista Chiara Buccini.
Ad accogliere e a “formare” le parole di benvenuto, di possibilità e di prospettive migliori per tutti, quelle del direttore del carcere, Stefano Liberatore. Pronunce da cui prende spunto l’intervista in calce.
Il CPIA (Centro Provinciale per Istruzione degli adulti) ha salutato, attraverso la dirigente scolastica Alessandra De Cecchis. La dirigente ha raccontato con soddisfazione, il frutto di una collaborazione duratura fra la scuola carceraria e l’istituto di pena di Sulmona. Ha sottolineato l’importanza del lavoro di congiunzione fra l’area educativa del carcere, i detenuti e gli esperti di diversa impronta che, più volte sono entrati nel complesso per portare avanti diverse progettualità. Determinante l’ausilio delle insegnanti Antonella Iulianellae Concetta Berlantini. La docente De Cecchis ha ricordato quanto è necessario l’aiuto finanziario concesso dalla Fondazione Caritas alla scuola in questione, affinché, le progettualità trovino allocazione e sviluppo. La violenza di genere è una tematica estremamente attuale, nel caso specifico il lavoro di riflessione e realizzazione del libro E’L Modo Ancor Ci Offende è partito dallo studio della Divina Commedia. Dante in questo capolavoro, di costante attualità e competenza, trattò di donne oggetto di violenza, da qui riflessioni, dialoghi e confronti che, malauguratamente continuano a trovare applicabilità ampia e diffusa nella società attuale.
Tutto il convegno ha beneficiato di vari intermezzi di lettura e interpretazioni eccellenti, tra cui passaggi della Divina Commedia e dell’Otello di Shakespeare. Le voci, i gesti e le espressioni che trasudavano professionalità, coinvolgimento ed umanità da ogni poro, quelle di Pietro Maria Becattini, Maria Francesca Galasso e di Giorgia Cironi. Centinaia di occhi li hanno sostenuti e ammirati in silenzio e commozione.
Un progetto, questo, che nasce e si sviluppa intorno all’idea di ricordare Dante Alighieri a 700 anni dalla sua morte, con la volontà di farlo in maniera originale e utile al trattamento detentivo dei convolti. Da ben 15 anni, una volta a settimana un gruppo di detenuti si riunisce per affrontare tematiche prossime alla legalità, questo percorso permette un arricchimento del lessico personale, passando per un lavoro su sé stessi e si spera ridistribuendo quanto appreso fra i compagni di detenzione, durante una passeggiata o una partita a carte in sala socialità. Si raccoglie la socialità di pochi, scommettendo sulla propagazione della stessa ai più. Si è voluto ricordare il Sommo Poeta, attraverso l’attualità della sua opera. In questo modo Elisabetta Santolamazza capo-area trattamentale della Casa di Reclusione di Sulmona, presenta la conclusione di uno studio dell’opera dantesca, avvenuto in maniera flessibile, per essere alla portata del livello di preparazione di ogni partecipante.
Il saggista ed esperto di Dante, professor Lorenzo Scocciolini apprezza il libro fumetto, illustrato dal fumettista Antonio Vinci, e riconosce l’importanza della progettualità nella sua interezza, percorre e spiega la concezione della donna nella storia, parla e sviscera il concetto di femminicidio e omicidio, tratteggiando più episodi e più aspetti di una problematica culturale che resta consistente e diffusa.
Quando vi è una violenza, è evidente che vi sia un autore. Il Centro l’Elefante Bianco, come CUAV, si adopera per la lotta alla cultura patriarcale e sessista, mediante un lavoro di rieducazione di uomini autori di violenza e attraverso attività di prevenzione e sensibilizzazione. Ad addentrare e condurre dentro questa meravigliosa realtà di recupero, l’avvocato Cristina Marcone, nonché presidente dell’Elefante Bianco. La Marcone riallacciandosi alla citazione del prof. Scocciolini relativa alla Convenzione di Istambul, ricorda che questo trattato si occupa di violenza di genere a danno di donne o minori, non tralasciando nei dettami indirizzati ai singoli stati la necessità di realizzare supporti e percorsi, anche, per gli autori di violenza. Solo nel 2022, in Italia, a seguito di confronti e intese fra Stato e Regioni si è giunti al riconoscimento dei centri di recupero per autori di violenza ossia i CUAV. La presidente Marconi, sottolinea che in Abruzzo il sistema relativo a queste attività di recupero è attivo, laborioso e si adopera per le continue formazioni delle figure presenti negli sportelli, stipulando, in alcuni casi, protocolli con la Procura, vedasi Sulmona. La maggior parte degli utenti di tale servizio, si possono definire “obbligati” in quanto indirizzati dalle autorità giudiziarie, dai servizi sociali o per mezzo del Codice Rosso che, attraverso l’art. 165 ha inteso, in qualche modo, far sì che, l’autore di violenza possa, beneficiare della sospensione condizionale della pena avviando e quindi svolgendo un percorso di recupero, che può durare più di 18 mesi. Tutto questo si basa su una collaborazione lavorativa ed informativa fra organi giudiziari, legali e centri di recupero, tenendo conto di eventuali e svariate cause di esclusione che potrebbero far capo al richiedente. È un percorso difficile da far comprendere ed accettare alla vittima che ha commesso il reato. In taluni casi, si profila la facoltà di contattare la vittima di violenza. Tutto per profilare dettagliatamente la storia dei convolti e per meglio agire ai fini del recupero.
La psicologa Rosa Anna Passaretti, prima di spiegare cosa, insieme alla dottoressa Valentina Cavallucci, affrontano e ascoltano ogni giorno, riferisce immediatamente dei brividi vissuti dopo aver ascoltato le interpretazioni degli attori, capaci di dare voce a quello che uomini violenti, definiti orchi dalle loro vittime, commettono e perpetuano. Il centro accoglie, purtroppo donne giovanissime. La dottoressa si dice privilegiata perché solitamente si trova dinnanzi a platee pressoché femminili. E’ soprattutto agli uomini, continua, che si deve parlare, è necessario un cambiamento culturale che passa attraverso gli uomini e la loro concezione della donna. Dobbiamo sradicare stereopiti per cui l’uomo ha poteri sul genere femminile, il lavoro da fare è sociale e culturale. Non vi sono giustificazioni, la violenza è una scelta ed è in responsabilità di chi l’agisce. Queste giornate aiutano e fanno riflettere, aiutano a contemplare l’alternativa. Va fatto un lavoro su sé stessi, la variante la si può cercare chiedendo, aiuto. È lecito, è sano ed è la strada che porta ad un mondo migliore.
La dott.ssa Cavallucci, a sua volta, si dice colpita dalla grafica del lavoro svolto. Porta a riflettere sul vero significato della parola femminicidio. Una donna uccisa durante una rapina in banca non è classificabile fra i femminicidi. Il termine femminicidio identifica la causa, la motivazione per cui quella donna viene privata della vita, da parte di un uomo violento, che pensa di poter disporre della sua esistenza. Si parla tanto di violenza sulle donne, ma bisogna farlo senza sbagliare, è vero che la conferenza stato regioni in Italia è fra le prime ad aver recepito quanto richiesto dalle normative europee, ma è pur vero che siamo il paese più sanzionato dalla comunità stessa. La Cavallucci si questiona, altresì, su come sia possibile per i centri preposti al recupero di chi ha commesso la violenza, avvicinare le vittime, laddove sussistano divieti di avvicinamento, l’impedimento è evidentemente oggettivo. Il lavoro dei detenuti del carcere di Sulmona si apre con un preciso riferimento a Giulia Cecchetti, la dottoressa Cavallucci invita tutti a riflettere sul fatto che, Giulia non aveva mai ricevuto nessuna violenza, neppure un semplice spintone, da parte del suo assassino. Pertanto, le forme di violenza sono tante e tutte pericolose e durature nel tempo.
Nelle battute finali di questo pomeriggio la parola passa ad un detenuto che, attraverso una voce calma e coinvolta racconta il lavoro svolto, l’impegno richiesto e testimonia l’importanza di riflettere, lavorare e scongiurare in ogni luogo il ricorso alla violenza. Tutto attraverso lo studio delle parole, dei gesti, degli atteggiamenti e degli sguardi di altri autori, ad esempio Carofiglio. Difficile immaginare il lavoro fatto dai detenuti, meraviglioso apprenderlo dalle loro voci.
L’amore per il teatro il direttore Stefano Liberatore lo condivide con i suoi detenuti e ce lo racconta.
Direttore Lei è alla guida di una casa di reclusione importate e singolare. Dante Alighieri arriva in questi luoghi. Ci parla dei risultati di queste progettualità e della loro valenza.
La valenza è sottesa a livello di cultura, di sensibilità verso il prossimo, di rispetto dei principi di legalità che sono utili per orientare, il cammino futuro nel percorso rieducativo dei detenuti. Per me valenza significa sensibilità, verso la scuola, verso l’istruzione. Si deve fare in modo che il detenuto, attraverso la riflessione e l’autodeterminazione comprenda che dentro di sé i valori esistono. Trattasi di quei valori che, o per dimenticanza o perché non posseduti nel momento in cui ha commesso il fatto che, lo ha escluso dalla società, non significa che non li può riacquisire o farli propri per la prima volta. Il carcere serve a trasformare le persone in uomini migliori. Contemplare la possibilità di cambiare aiuta a livello psicologico, non lascia spazio alla depressione, all’autoesclusione all’interno dello stesso circuito penitenziario. Tutto questo aiuta a scongiurare nostri interventi per fronteggiare atti autolesivi gravi o suicidari. Ciò non accade quando gli operatori sono attivi, presenti e coscienti che l’attività di rieducazione dev’essere sostanziale e non teorica.
Durante questo suo mandato vi è un progetto a cui ha lavorato che sta prendendo sostanza o che si è già concluso?
Amo il teatro, lo confesso! I detenuti hanno l’aspirazione di voler essere attori di teatro, desiderano esprimersi attraverso il confronto diretto sia con gli esperti che li aiutano in queste elaborazioni di tematiche teatrali, sia attraverso il confronto con loro stessi. In tanti ci chiedono di cimentarsi in questo tipo di attività. Queste sono progettualità che li aiutano a mettersi in gioco e a comprendere che possiedono una ricchezza d’animo da poter condividere con altri. Queste iniziative incontrano il favore del Dipartimento che, ci spinge a praticarle. Inteso che occorrono volontari, sensibilità degli insegnati che lavorano a stretto contatto con l’area rieducativa, a cui va tutta la mia stima. Queste sono le vere spinte propulsive di un carcere, queste le vie affinché il futuro di questi detenuti sia migliore. Il detenuto deve sapere che ogni iniziativa non è fine a sé stessa, ma conduce ad una consapevolezza che il carcere è una parte rispetto alla società e non è qualcosa di escluso da essa. Non è un luogo di abbandono, è un luogo di formazione sociale.
Possiamo affermare che eventi come quello vissuto aiutano il detenuto a lasciare fuori dal carcere qualche fardello, e mettono in condizione di affrontare questo percorso in maniera meno gravosa e opprimente?
Ne sono convinto. Non è solo il carcere l’elemento fondamentale, si deve poter contare su un insieme di fattori che concomitandosi fra loro, innescando sinergia creano condizioni di sollievo. Un elemento essenziale è rappresentato dalla presenza dei familiari. Noi attraverso psicologi, attività rieducative, poliziotti che, sono operatori del trattamento, ci mettiamo del nostro. La speranza di tornare, anche in casi di lunghe permanenze detentive, nei luoghi da dove ci si è autoesclusi e trovare un ambiente familiare è importante. Carcere, famiglia e società sono la via. Spesso il carcere viene visto come luogo di abbandono, in realtà è una parte integrante della stessa. Il sistema penitenziario va seguito quotidianamente, come qualsiasi altra struttura pubblica, come succede per i grandi centri ospedalieri. Il carcere è formazione sociale, il detenuto va istruito, orientandolo al rispetto della vita umana.
Ciò che esclude e da cui si è esclusi, non porta acqua fresca e salutare al mulino della vita. Perché siano sempre più quelli che guardano in una direzione sana e priva di violenza è impellente, il bisogno di parlare e praticare esempi di cambiamento nel cuore della società, creando condizioni di parità, di rispetto, di convivenza e di correlazione paritaria.
Cesira Donatelli