SULMONA- 6 aprile -Domenica scorsa, 3 aprile, la domenica che la liturgia definisce “in albis deponendis”, nel ricordo dei cristiani che erano stati battezzati il sabato santo e che dopo una settimana deponevano le vesti bianche, simbolo di rinascita interiore. Forse non è casuale che il vescovo Angelo Spina abbia colto l’occasione della “domenica in albis”, per unire preghiera e politica, in merito alla situazione amministrativa sulmonese.
Situazione, ripetitiva, se lo stesso vescovo ha ricordato che nel mese di giugno 2007 fu accolto dal commissario e non dal sindaco, legittimamente eletto.L’intervento del vescovo non ha sollevato curiosità o meraviglia, perché non si tratta della prima intromissione in politica, avendo già in passato promosso incontri con le autorità civili. Solleva invece un problema sul piano personale e pubblico: l’affermazione della leadership indiscussa del vescovo.La linea pastorale del vescovo Spina è notoriamente una linea di tipo wojtyliano, la cui personalità pugnace e carismatica ha segnato la storia della Chiesa e del Mondo di fine secolo ventesimo.
Non sappiamo se anche il vescovo Spina riuscirà a caratterizzare, in miniatura, la pastorale diocesana sulmonese sul modello della “cattolicizzazione della modernità”, come descritto nella recente analisi di Manlio Graziano, docente di geopolitica delle religioni, dal titolo “Guerra santa e santa alleanza”. Opera presentata dal direttore di Limes, Lucio Caracciolo. All’inizio del secolo XXI Giovanni Paolo II dichiara: “Potremo, insieme, costruire il futuro e la storia dell’umanità”.
Lo studioso Graziano ritiene che negli ultimi trenta-quarant’anni, non sia stata la tesi di Huntington dello “scontro di civiltà” a prevalere, ma una specie di “santa alleanza” fra le principali confessioni religiose. Addirittura dopo la vituperata “lectio” del settembre 2006 a Ratisbona, in cui Benedetto XVI aveva citato la frase dell’imperatore bizantino Manuele II, “Maometto ha portato solo delle cose cattive e disumane”, è nato un “Forum” islamo-cattolico. Quindi, la citazione di Benedetto XVI non sarebbe altro che una classica “eterogenesi dei fini”.Ma non è certamente il piccolo spaccato sulmonese che possa diventare micro-sperimentazione della religiosità universale. È certo, però, che il ruolo-guida del pastore Spina diventa segno di nuove tendenze, di nuove sicurezze, in tempi in cui dominano le più gravi incertezze, da quelle economiche a quelle ideologiche ed esistenziali
Il rischio è quello di ri-creare un rapporto clientelare o di dipendenza tra clero e laici, come ai tempi della Democrazia Cristiana. E, addirittura, di ritorno agli esempi di vescovi che imponevano candidature personali nelle liste dei candidati di partito. Chissà, oggi, quanti pretendenti sindaci di Sulmona aspirerebbero ad avere la designazione da parte del vescovo. E sarebbe un triste ritorno al passato!In verità, si tratta di uno stile pastorale diverso, se non proprio opposto a quello di papa Francesco. Che invece privilegia la modestia, l’operosità senza clamore, la conversione interiore.Resta il grande problema della funzione istituzionale della Chiesa.
E, soprattutto, la funzione della religione per l’elevazione dell’umanità.Nel 2009, Benedetto XVI ha affermato: “La religione cristiana e le altre religioni possono dare il loro apporto allo sviluppo, solo se Dio trova un posto anche nella sfera pubblica”. Ma Dio, proprio perché indefinibile e inafferrabile, non può che identificarsi nell’Uomo. Nel Cristo-Uomo. Solo nell’Uomo, sic et simpliciter, può essere trovato il denominatore comune per unire l’umanità. Forse bisognerebbe riprendere la formula feuerbachiana “Homo homini deus”, in contrasto con quella hobbesiana dell’ “homo homini lupus”.L’Uomo al centro significa la realizzazione della missione di Cristo in terra. Perché Cristo non ha parlato alla Sua Chiesa, ma alla Sua Umanità.
Mario Setta