Caro Giovanni,
ho molto apprezzato la scelta del nuovo Presidente del Consiglio regionale, Di Pangrazio, di rammentare, nel suo sobrio, ma denso intervento inaugurale della nuova legislatura, come l’evento coincidesse, quest’anno, con il trentesimo anniversario della scomparsa di Peppino Bolino, che fu testimone di ideali e di vita esemplare per molti della mia generazione.
Come qualcuno ancora ricorda, ho terminato i miei studi liceali a Sulmona, e già lì, tra i giovani che si avvicinavano alla politica, per passione e convinzione, molto meno come scorciatoia per il successo o per un impiego, il professor Bolino rappresentava un punto obbligato di riferimento per l’indirizzo e il profilo etico da dare alla volontà che tutti ci accomunava di costruire una città dell’uomo meno inumana, anzi meno feroce di quella che avevamo visto franare o sopravvivere sotto altre spoglie. Ho in seguito potuto consolidare e motivare questi miei sentimenti di stima e di condivisione, lungo il sentiero che per volontà e scelta di migliaia di uomini e donne, mi ha portato ad essere, prima, Segretario Provinciale della Dc dell’Aquila, poi deputato, Consigliere regionale e Capogruppo della DC e, infine, Presidente della Regione con una coalizione di centrosinistra.A Sulmona, un sacerdote, Don Mario Capodicasa, mi aveva consentito di leggere i testi di Sant’Agostino, ma anche quelli ispirati al personalismo cristiano e all’esperienze del Movimento di Comunità di Adriano Olivetti.Alla luce di quei testi, e poi dell’esperienze vissute, Bolino mi apparve sempre più un testimone severo di una concezione etica della politica, intesa come servizio e ispirata ai testi della dottrina sociale della Chiesa. Fra i cattolici, impegnati in politica, egli era fra quei pochi che, in Abruzzo avevano pagato duramente, con l’internamento nel lager nazisti, la sua fede sul valore liberatorio di un cristianesimo vissuto e che, poi, l’aveva visto sideralmente lontano, anzi censore, di ogni tentativo teso a snaturare l’ideale e l’impegno democratico cristiano per farne una degenerazione conservatrice del vecchio notabilato e delle tradizionali rendite di posizione.Per la sua formazione, sentì e fece vivere, a chi lo seguì, la dignità e il profilo riformista dell’istituzione regionale, tanto da essere un grande Presidente del Consiglio.Avvertì credo con amarezza, i danni della degenerazione delle correnti democristiane da movimenti interni di opinione, di elaborazione e di progetto a strumenti di potere, ma gli fu risparmiata la triste ed immotivata fine della Dc e la deriva etica della politica che ne è seguita, nutrita di umori padronali e clientelari.Una deriva che negli ultimi anni ha impoverito spiritualmente ed economicamente, oltre che socialmente, l’Abruzzo e alla quale si può e si deve reagire con l’insegnamento che Peppino Bolino, indimenticabile amico, ci ha lasciato.
* giornalista- Presidente Emerito della Regione Abruzzo