SULMONA- I marciapiedi e le singole pertinenze delle strade, sono stati coniati per ospitare arredi urbani, biciclette, persone che passeggiano, lampioni e passeggini, giammai per essere culla di un delitto. Non che vi sia, un luogo deputato o immolato all’omicidio e quindi alla cancellazione di un’esistenza.
Scuote la tangibilità per cui la morte possa trovare accoglimento dinnanzi ad una vetrina, durante il cambio di luce di un semaforo, mentre un corriere consegna l’ennesimo pacco del giorno, oppure mentre un barista disegna uno smile sulla schiuma di un cappuccino.
Anni addietro, incontrare qualcuno, con una macchinetta fotografica al collo o in procinto di uno scatto, autorizzava a presupporre l’esistenza di una camera oscura, ricavata in un sottoscala o da una mansarda, lasciava intuire, altresì, una certa professionalità o una radicata passione, per il potere delle immagini. Oggi incontriamo per lo più cellulari, strumenti in grado di alienare la fratellanza.
Le foto, i ritratti e i fotografi, le ho sempre amate, tanto da dedicarvi dei versi.
Soave Clorofilla
…testamento al futuro venir,
bibbia dell’odierno andar.
Greca, ellenica,
danzante dea rupestre
di graffiti alla vita,
scultrice nella luce del sol,
nel sacrato che attende
il cinguettio del tempo…
Laddove lo scatto o la ripresa li releghiamo al mero scopo di immortalare una mano nuda che uccide, lasciando che la necessità di mostrare, prenda il sopravvento su ogni azione di pietà e umanità, non siamo altro che “tossicodipendenti”, più o meno consapevoli, da like e commenti social. Tanto assoldati, da questa pseudo forma di vita, da avere mano ferma durante le riprese di un omicidio, tanto da essere stati capaci di barattare l’obbligo morale di salvare e rispettare vite, con la necessità di essere reporter da strapazzo.
Non basta dire basta, non è sufficiente esclamare “ODDIO” per evitare di essere complici di un omicidio. Certo, sovente la legge e le procedure sono finite per punire chi aiuta e non chi commette, ma è inconcepibile constatare, si abbia la capacità di restare a guardare la morte, lasciandole ogni facoltà di fare.
Cosa siamo divenuti se non fogliame umano, a quale migliore ambiamo se sappiamo essere solo spettatori, per giunta non paganti, di un mondo che ha sempre più albe e tramonti sporchi di sangue, abbigliati da telai che tessono violenza e prevaricazione?
Stante le diverse angolature delle riprese e delle immagini non ci resta che auspicare in un processo senza troppi rinvii e perizie. Forse non è n tutto è perso, siamo divenuti collaboratori di giustizia, neanche troppo pentiti, siamo divenuti fotografici, chissà che non finiremo in lizza per il Pulitzer!
Non sapremo mai quanta paura avrà provato e a cosa avrà pensato Alika mentre moriva, sotto gli occhi di tanti maestri di pellicola, unica certezza che il cielo gli sarà più fratello e più sorella di quel che siamo stati noi.
Cesira Donatelli
( ph da Internet)