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(primo piano)- Il Sapore dell’Albicocco

Scritto da redazione

Sulmona, 2 agosto- Si sceglie di leggere un libro, piuttosto che un altro, reputandolo idoneo al momento vissuto, ai desideri in essere o alla condizione psicologica che si attraversa, insignendo l’opera di responsabilità variegate e assorgendola a compiti non sempre di stretta spettanza.

Si provi a concepire che un libro non viene congeniato con squadra e centimetro, che non dev’essere calzante al progetto che possiede il responsabile di cantiere. Si provi a sceglierlo perché non conforme, desiderando che sfoci nell’abusivo, si auspichi che sia allergico ai condoni.

…e per darvi tutto io non devo pensare a voi, non devo pensare a come farvi piacere. Devo solo aprirmi, e mostrare. E devo volervi tanto bene da farmi perdonare che io scriva qualcosa di me…

Se non bastasse la levatura di questo passaggio, in Il Sapore dell’Albicocco di Nicola Pesce di “legnate” per chi pensa che il consueto, lo sfarzo, la ricchezza e l’elaborazione di ogni cosa, affinché il “barocco” e l’ardito, siano gli strumenti per conseguire felicità e benessere interiore, ve ne sono a iosa.

Il Sapore dell’Albicocco straripa di dialoghi tra Lev, lo scrittore che, Elinor scova intento a vivere una vita fatta di essenziale, di natura, di legna e di fattarielli, accuditi nel cuore e nella mente, che altri non è che, il peculiare Nicola Pesce. 

In ogni pronunzia, sguardo o gesto dei protagonisti traspare il reverenziale rispetto per la natura, per tutti i suoi frutti e per tutti i suoi figli, trattasi di legami indissolubili. Raccogliere camomilla significa prendersene cura costantemente, attendendo che sia la sua infusione a prendersi cura dell’animo di chi la degusterà, una volta essiccata a mestiere. Si è dinnanzi ad una convivenza continua e rispettosa, fra essere e creato.

Il valore intrinseco di un piccolo paesello, di un panino consumato in silenzio o di una pesca improvvisata, senza troppi giochi di prestigio, smascherano la vita sprecata nelle strade chiassose e inquinate di una città, dove contano i numeri, gli algoritmi e le visibilità, tutto a scapito dei rapporti, dei confronti, della lettura di un libro che, potrebbe rivelarsi amante salvifico.

Nicola Pesce, denuncia la mancanza di cura, di sensibilità e lo fa raccontando il bello e il brutto della sua vita, che parte dalla mancata cura per un albicocco morente…

…l’albicocco dove raccoglievo le albicocche da portare a tavola a papà è morto!…

… e io c’ero e non ho fatto niente…

E, approda alla capacità di elaborare, di invertire la rotta, di approdare a nuove e più sentite dimensioni, confessando alla sensibile intervistatrice, Elinor, di coltivare un sogno orientato alla povertà.

Il continuo e reciproco denudarsi dei due protagonisti appare come un lavoro all’uncinetto, dove la maglia alta della spontaneità si alterna alla maglia bassa del ricordo, a volte doloroso, a volte vestito della consapevolezza che, il tempo, i luoghi e le forme possono divenire genitrici di nuove analisi e prospettive.

I libri, in questo libro che è, pappa reale, atta a ristorare la mente e il corpo, a protegge dalle infezioni, a donare benessere e a rafforzare il sistema immunitario, sono protagonisti variegati e prestigiosi. Le parole, i racconti, il vissuto, non da affetto da Asperger, ma da compagno comprensivo e stimolante dell’Asperger stesso Nicola Pesce, li condivide con il lettore per l’interezza dell’opera, riconoscendo loro la propensione a impiantare emozioni vere. Ogni fattariello che racconta ad Elinor è organo compatibile per un trapianto di vita che non contempla rigetto. L’imposta terapia del rumore isola disconosce e rende deboli, non aiuta a ridere del vissuto triste, e non permette di piangere dinnanzi al ricordo di un momento bello.

 Scrivere per imposizione o contratto è dileggio nei confronti dei sentimenti, interrompere l’elaborazione di un romanzo perché la vita che si vuole scrivere e che si desidera è in corso di concretizzazione, è un privilegio di cui si può leggere in Il Sapore dell’Albicocco, come pure il realizzare che…

…io non volevo concedere a qualcuno – per esempio allo Stato – il potere di dirmi se fossi autistico. Non volevo chiedere il permesso…

Quando si viene allevati a pane e botte, quella sola sera che le botte disertano il corpo, il posto spetta, quasi di diritto all’ansia e il sonno va farsi fottere.  Non può essere questa la regola, forme di bene e di amore, prima o poi si affacciano all’orizzonte e giungono calde, quasi ustionanti.

Due vissuti distinti quelli di Elinor e di Emilio (Lev), seppur accomunati dalla ricerca della felicità attraverso il semplice, attraverso i libri, di quella felicità che rifugge il palcoscenico perché si imbarazza facilmente. Poi quando i conti da saldare sono esosi e falsi, quando lo sfratto incalza, l’unica famiglia che metti in salvo è quella dei libri.  Dopo l’indifferenza, dopo l’essere stato deriso, dopo gli affronti, alla fine arriva la vittoria. E solo ciò di cui si può ridere va preso sul serio, lasciando impronta del proprio essere su ogni cosa, sul proprio giardino, poggiando lo sguardo su ciò che vive ai bordi delle strade, fosse una fontana o una pietra. Tenendo a mente che è sinonimo di lusso essere sé stessi, avere tempo e metterlo a disposizione degli altri. 

Nicola Pesce in Il Sapore dell’Albicocco rivela una verità inflazionata o sconosciuta, confessando che il suo vero successo, semmai lo ha avuto e, qui la modestia e la dimensione dell’umano è immensa, lo ha avuto mentre scriveva nell’anonimato.

Con costanza si rileva, durante la lettura, la profondità del non divenire mai adulti, di adoperarsi affinché il diverso abbia spazio, di sentirsi non più importante di una volpe che, a suo modo, la sera, sceglie di fare quattro chiacchiere, di capire che i figli sono come sono, e, spesso non sono come li si è, egoisticamente, progettati.

Capita che si scelga di acquistare frutta e ortaggi al mercato perché la voce del contadino, non ha il sapore del polistirolo dei supermercati, perché il prodotto è ancora sporco di terra, perché i colori e di quello che vedi non sono stati fiaccati e diluiti dalle celle frigorifere. Per le stesse ragioni va letto Il Sapore dell’Albicocco di Nicola Pesce.

Cesira Donatelli

IL SAPORE DELL’ALBICOCCO di Nicola Pesce

Edito Mondadori

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