Sulmona, 3 luglio– Il nostro paese sta avendo risultati positivi in molti settori economici, stante alle comunicazioni del Governo e confermati anche, per la verità, dai dati macroeconomici, e di questo , particolarmente per il numero dei posti di lavoro, non possiamo non manifestare la nostra soddisfazione ma cresce anche negativamente in settori che toccano direttamente la vita dei cittadini come la sanità.
Le nostre liste di attesa nella sanità pubblica nel 2033 sono aumentate di 372 mila in più rispetto all’anno precedente portando ad un record negativo a livello europeo, secondo fonti ISTAT, che su 4,5 milioni di cittadini che hanno dovuto rinunciare a curarsi, ben 3 milioni a visite e accertamenti diagnostici, assolutamente necessari per accedere alle cure, a causa di liste di attesa, problemi economici e/o difficoltà di accesso.
Un numero drammatico che dimostra lo stato ormai agonizzante della nostra sanità pubblica. Parlando delle sole liste di attesa, anche se è motivo di scandalo il numero di coloro che non possono curarsi per motivi economici, e se non ci fosse il lavoro delle associazioni di volontariato sarebbe molto più alto particolarmente nel campo della salute mentale, siamo ormai al 4,5 % dei cittadini italiani che non riescono a curarsi a causa del protrarsi delle liste di attesa. A proposito della legge sull’autonomia regionale è appena il caso di notare che i più alti tassi di rinuncia, per questa causa, si registrano al Centro e al Sud del Paese con quasi il 9 % rispetto a poco più del 7% al Nord. In alcune Regioni siamo a oltre 700 giorni per un ecodoppler cardiaco e per una prima visita oculistica, 650 giorni per una colonscopia e per una visita endocrinologica e così di questo passo.
Allora cosa fa il Governo? Dati ISTAT alla mano, responsabilmente, approva una riforma delle liste di attesa dimenticando che il Dlgs 124 del 1998, approvato ai tempi del governo Prodi, a cui lavorai personalmente quando ero presidente del gruppo del PDS in Commissione Sanità del Senato della Repubblica, mi risulta ancora vigente, anche se non valorizzato per un’opposizione delle regioni che rivendicavano il proprio diritto a legiferare in campo sanitario e dalle ASL che non vollero farsi carico delle prestazioni in intramoenia (la libera professione all’interno dell’ospedale pubblico) come stabiliva il Dlgs.
Questa riforma del ministro Schillaci, emanata a tre giorni dalle elezioni europee, al di là delle buone intenzioni, ha il difetto di essere affrettata e non sufficientemente meditata, prevedendo scelte che non hanno copertura finanziaria. La cifra stanziata di 500 milioni è semplicemente irrisoria rispetto alla flat tax dl 15% sugli straordinari di medici e personale infermieristico, ammesso che ci siano visto l’enorme sottostima di personale sanitario pubblico, che dovrebbero lavorare anche il sabato e la domenica per ridurre le liste di attesa. Quando si diventa parlamentari la prima cosa che si insegna è che una proposta di legge deve avere una copertura finanziaria, altrimenti è ut non esset.
L’altro limite grave, non una svista ma una vera e prova scelta strategica, riguarda il massiccio ricorso alla sanità privata con risorse pubbliche, puntando ad una integrazione tra ospedali pubblici e privati, di fatto aumentando il tetto di spesa per le prestazioni sanitarie acquistate da enti privati accreditati. In termini economici questo vuol dire che la sanità privata potrà vendere esami e visite al Servizio sanitario Pubblico per ulteriori 520 milioni di euro. Niente male anche in considerazione del fatto che già nel 2022 , da dati forniti da Mediobanca , i ricavi della sanità privata erano già cresciuti del 2,7 % arrivando a 10,6 miliardi con ai primi posti il San Raffaele (1,7 miliardi) Humanitas (1,1 miliardi) e Policlinico Gemelli (799 milioni).
Siamo alla marginalizzazione del Servizio Sanitario pubblico? Mi sembra che sia incontrovertibile come è difficile non segnalare il de profundis della L. 833 del 1978 istitutiva del nostro Servizio Sanitario Pubblico.
Sen. Prof. Ferdinando di Orio