- Lo ha stabilito il Tribunale di Sulmona con la sentenza del 20 febbraio 2025

Sulmona, 14 marzo – La vicenda legale iniziata nel 2018 ha trovato il suo epilogo con la sentenza del 20 febbraio 2025, emessa dalla Giudice Dott.ssa Francesca Pinacchio. La sentenza sancisce in modo chiaro il principio che il rispetto e la dignità delle persone, in particolare delle donne, devono essere tutelati anche nel contesto della dialettica politica.
Nel 2018, un episodio che ha coinvolto l’uso di termini sessisti da parte di Bruno Di Masci nei confronti di Roberta Salvati, all’epoca dei fatti entrambi consiglieri comunali nel Comune di Sulmona, durante una telefonata, alla presenza di altre persone, è stato ripreso in un video e diffuso su WhatsApp.
Il video, arrivato a Roberta Salvati, è stato immediatamente denunciato, portando all’intervento del Giudice di Pace di Sulmona, che aveva inizialmente dichiarato l’insussistenza del fatto, così sancendo che espressioni come “Quella zoccola della Salvati e Dio ci salvi dalla Salvati” fossero utilizzabili nel contesto del dibattito politico. Tuttavia, tale decisione è stata successivamente ribaltata con la sentenza recentemente emessa dal Giudice del Tribunale di Sulmona, Dott.ssa Francesca Pinacchio, che ha invece riconosciuto la gravità e la rilevanza penale dell’accaduto. La sentenza in commento, emessa il 20 febbraio 2025 e comunicata alle parti solo lo scorso 10 marzo, ha sancito che “il comportamento di Bruno Di Masci non era giustificabile, poiché lesivo del rispetto e della dignità della sottoscritta persona offesa dal reato”.
Con questa sentenza, il Tribunale di Sulmona ha ribadito che l’utilizzo di un linguaggio gratuitamente offensivo e denigratorio, in qualsiasi ambito, non può essere tollerato e non può essere giustificato dall’esimente dell’esercizio del diritto di critica (in questo caso critica politica).
Il Tribunale ha stabilito che non possono essere riconosciute all’imputato le attenuanti richieste ai sensi dell’articolo 62-bis del Codice Penale. Di conseguenza, è stata inflitta una pena di 900,00 euro di multa, considerando la concreta offensività della condotta. Inoltre, ai sensi dell’articolo 535 del Codice di Procedura Penale, alla condanna segue l’obbligo per Bruno Di Masci di sostenere il pagamento delle spese processuali.
In riferimento agli articoli 538 e seguenti del Codice di Procedura Penale, il Tribunale ha disposto che Bruno Di Masci debba risarcire il danno subito da Roberta Salvati in conseguenza del suo comportamento delittuoso. L’entità del danno, di natura non patrimoniale, sarà determinata in via equitativa in sede civile.Infine, l’imputato è stato condannato a rimborsare a Roberta Salvati le spese sostenute per la costituzione di parte civile e per la partecipazione al processo.
“La mia profonda fiducia nella giustizia- spiega ancora Roberta Salvati- è stata ripagata e non posso sfuggire alla considerazione che la presenza sul territorio del Tribunale di Sulmona costituisce un’essenziale presidio di legalità e di garanzia per tutta la comunità. Un ringraziamento particolare va ai miei avvocati, Tommaso Marchese e Donatello Gentile, per il loro impegno e la loro professionalità.
Questa sentenza mette un punto ad una vicenda dolorosa che per anni ha causato sofferenza a me e alla mia famiglia. Purtroppo, in questi anni non c’è mai stato un momento di vera consapevolezza da parte di Bruno Di Masci sulla gravità delle sue parole, né sono mai giunte le sue scuse.Oggi mi sento serena, perché so di aver contribuito, nel mio piccolo, a lanciare un messaggio chiaro: bisogna denunciare le ingiustizie e non bisogna mai accettarle passivamente. La mia battaglia non è stata solo per me stessa, ma per tutte le donne che subiscono offese e discriminazioni.
Infine, desidero rendere noto che devolverò parte del risarcimento in beneficenza. Sento di dover trasformare questa esperienza in qualcosa di positivo, in un atto di solidarietà, a sostegno di chi ne ha bisognoQuesta vicenda rappresenta un precedente significativo nel dibattito sui limiti della critica e sulla tutela della dignità personale. La sentenza sottolinea la necessità di mantenere un livello di confronto rispettoso, escludendo l’uso di espressioni ingiuriose e lesive, anche e non solo nei confronti delle donne impegnate in politica”.
1 Commento
Che brutta pagina della politica di questa città