Incontro a tutto campo con l’artista di Carsoli. Abbiamo parlato della sua musica, delle sue canzoni,delle sue vocazioni anche dei messaggi che intende trasmettere con molta semplicità ma soprattutto con il cuore
Sulmona, 24 maggio– Foto ingiallite e sbiadite dal lento incedere del tempo, ricordi di un passato tanto dolce quanto intenso, tradizioni da custodire e tramandare alle future generazioni e un forte desiderio di riassaporare le proprie radici, i sapori e gli odori del passato. Nelle quindici canzoni che compongono il pattern, le suggestioni e le melodie del tempo che fu rievocano la memoria di una vita che scorreva meno frenetica e dei bambini che giocano per strada senza mai guardare l’orologio. Tutto questo e molto altro nel concept album “La Soffitta” di Marco Malatesta, artista, cantastorie, come ama definirsi, di Carsoli.
Ciao Marco, come nasce il cantastorie Malatesta, quali sono state le sue influenze musicali?
Molti anni fa mio fratello, che era in Marina a Taranto, mi riportò una musicassetta della linea “Orizzonte” riavvolta al lato B: era il vol.3 di De André. La prima canzone che sentii fu la Guerra di Piero e quello che mi colpii di più fu la costruzione a mo’ di puzzle delle parole. Era una cadenza di poesia perfetta. Da lì iniziai a scrivere, io non sono propriamente un poeta o un cantautore, io sono un cantastorie. Il mio obiettivo è quello di mettere su musica le mie parole e farle cantare.
Solo De André?
Nono, ho molte trasversalità: arrivo dal gothic anni 80, dal dark, dal metal, dalla musica classica. Le mie musiche sono frutto di ciò che ascolto e che ho ascoltato. Ho amato e amo tuttora anche gli autori di nicchia che non hanno la spinta dei colossi pubblicitari.
Raccontaci la nascita del nuovo album “La Soffitta”. Da cosa è scaturito questo forte senso di nostalgia del tempo passato?
L’essenza dell’album è quella di voler inserire in un quadrato il vero significato dei ricordi, del tempo antico, l’odore delle noci, dell’infanzia, insomma tutto quello che ho assaporato da bambino. Sono tornato indietro per capire meglio il mio presente. “La Soffitta”, in verità, nasce con il mio brano “Carillon di madreperla”. Stavo cantando al teatro Orsini di Avezzano quando il concetto di soffitta si è palesato, con i suoi pavimenti di legno. Tutto questo mi fece pensare alla mia soffitta, il simbolo della mia infanzia ed ebbi l’impulso di tornarci. Lì ho ritrovato molti oggetti a me cari come il candelabro, altri oggetti descritti nel mio album sono di fantasia ma molti erano presenti.
Del tipo?
Tipo “La lettera ingiallita” che descrive una lettera che mia madre scrisse a mio padre. Io ho immaginato la risposta di mio padre, quindi un ritorno epistolare. Ho perso mio padre molti anni fa e per questo ho concepito un amore arrivato fino alla fine, fino in fondo.
A primo impatto, trovandomi di fronte al tuo album ho avuto l’impressione di avere a che fare con un romanzo su musica. Ogni brano è un capitolo della stessa storia. È vero?
Sì, è un concept. Ho sempre avuto questa propensione al concetto, anche con i miei lavori precedenti. Ho sempre cercato di dare un senso cronologico ad ogni canzone. Non trovo gusto nel dare un significato singolo ed isolato ad ogni brano. Preferisco descrivere un ambiente con più capitoli, come ho fatto ne “La soffitta”. Sono molto soddisfatto e spero lo siano anche gli ascoltatori.
Quindi il tuo repertorio è molto autobiografico.
Certamente, non scrivo mai su storie altrui; è capitato con “Norimberga”, la storia d’amore tra una ebrea e un nazista. In generale, non cerco di capire gli altri, piuttosto scavo dentro di me per confrontarmi con quello che ho davanti. Scrivo sull’immagine, prendi ad esempio un fiore, io su di esso faccio una cornice. Adoro scrivere sugli spazi vuoti, tant’è vero che gli arrangiamenti sono acustici, sanno di gioco.
Quali sono le sonorità de “La Soffitta”?
In “La Soffitta” ho usato anche elementi giocattolo, mi piace molto usare i rumori e lasciare spazio vuoti perché secondo me la bella musica la fanno le pause. Ogni volta che registro, che arrangio, passo al setaccio e modifico. Uso molto anche le sabbie, le percussioni molto più dei piatti della batteria. Mi piace molto far suonare il legno, gli strumenti acustici, quindi violino, fisarmoniche ecc. Necessito di semplicità sonora, è tutto molto acustico e suonato da amici molto bravi. Colgo l’occasione per ringraziarli di cuore per il lavoro e la sinergia creata: Paolo Di Censi, Lorena Bernardi alla quale ho affidato la creazione di tutte le mie copertine, gli artisti della Valle Del Cavaliere, Federico Falcone, il management di Mauro D’Angelo e te, Chiara, per l’intervista.
Potremmo dire che la tua è un’arte introspettiva?
Assolutamente sì! Guardo molto dentro di me, amo molto i miei spazi e guardare quello che mi circonda. Parlo di quello che mi emoziona e cerco di restituirne un senso tramite le parole a chi mi ascolta.
Come sta andando la promozione del nuovo lavoro?
Beh, partiamo dal presupposto che faccio musica di nicchia e tutto quello che faccio lo faccio per me, sono molto autonomo. Produco quello che faccio anche perché non è semplice far circolare lavori come i miei nei canali mainstream, nonché farne promozioni. Sinceramente non ho mai pensato al grosso pubblico perché amo i piccoli ambienti. È una scelta; di solito l’artista fa un’opera e la propone ma nel momento in cui arriva al singolo ascoltatore e lo emoziona, il lavoro suo lo ha fatto. Se faccio emozionare anche solo una persona ho raggiunto il mio obiettivo, poi, se il pubblico cresce ben venga, ma non me lo sono mai posto come problema.
Tra tutto il tuo repertorio, quale lavoro ti rispecchia maggiormente?
Ad oggi direi senza dubbio “La Soffitta”. È il racconto della mia infanzia, una soffitta costruita da mio padre per permettermi di suonare. Questo disco è molto intenso rispetto agli altri. Si arriva ad un punto focale attraverso un percorso e “La Soffitta” è il simbolo dei miei ricordi, del mio Io, della mia vita.
Chiara Del Signore
1 Commento
… l’artista fa un’opera e la propone ma nel momento in cui arriva al singolo ascoltatore e lo emoziona, il lavoro suo lo ha fatto… Tu ci sei riuscito senz’altro ❤️❤️❤️