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La polizia del mare, strumenti giuridici e capacità di protezione

Scritto da redazione

“Navi di legno comandate da uomini con la testa di ferro” 

di Paolo Carretta* 

 SULMONA-ll tragico naufragio i che ha coinvolto (nella notte tra 25 e 26/02/2023) un caiccoii proveniente dalla Turchia con almeno 180 migranti a bordo, ha portato all’attenzione dell’opinione pub- blica le diverse competenze del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia Costieraiii e della Guardia di Finanza nell’attività di soccorso e polizia a mare. Lo scritto si limita ad illustrare alcuni aspetti della polizia del mare, che prescindono comunque dal citato episodio, tuttora al vaglio dell’Autorità Giudiziaria 

La sicurezza della navigazione prevede, in senso lato, due macroaree: 

Safety che è intesa come sicurezza della navigazione in senso stretto, oltre che salvaguardia della vita umana in mareiv, tale considera la navecon riguardo alla sua costruzione, galleggiabilità, stabilità, propulsione e governo, servizi, armamento, dotazioni di sicurezza, protezione attiva e passiva contro gli in- cendi e preparazione degli equipaggivi

Security che si riferisce alla sicurezza come combinazione di misure preventive, volte alla protezione del trasporto marittimo e degli impianti portuali contro azioni illecite dolosevii

Law enforcement è l’attività che si riferisce all’applicazione delle leggi da parte delle forze dell’ordine, che ricomprende certo anche le due suddette, ma più specificamente alle ulteriori funzioni di P.S., di P.G. e di PEF (Polizia Economica e Finanziaria). Tale può esplicarsi nelle acque territoriali nei confronti di natanti privati (mercantili, da pesca o da diporto) di qualsiasi nazionalitàviii o, più raramente, in acque internazionali, ma nei soli confronti delle naviix che abbiano la stessa bandiera del controllore (ffpp), assecondando un principio generale di diritto internazionaleconcernente la libertà di navigazione in alto mare

Il passaggio di una nave è però inoffensivo, solo fintanto che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costieroxi. Solo eccezionalmente la Convenzione di Montego Bayxii (art. 110) consente il controllo in alto mare di una nave battente bandiera diversa, a condizione che la funzione del controllore sia esercitata da una nave da guerraxiii che svolga quindi attività di law enforcement, ma solo ove il controllato non goda di completa immunità (artt. 95 e 96). Può a tal fine legittimamente abbordarla, sussistendo fondati motivi per sospettare che sia impegnata in atti di pirateria, nella tratta degli schiavi, in trasmissioni abusive, ovvero sia priva di nazionalità o abbia dissimulata la stessa nazionalità della nave da guerra. Gli atti di pirateria sono compatibili, come situazione commissiva, con la condizione di una nave da guerra o di Stato, solo ove l’equipaggio sia ammutinato. All’atto di pirateriaxiv conseguono gravi effetti, poiché i pirati sono arrestati e sottoposti alla giurisdizione nazionale universale: in alto mare, ogni nave militare può quindi catturare una nave pirata, arrestare i responsabili, e sequestrare ciò che si rinviene a bordo. 

Il traffico di stupefacenti non viene tuttavia nominato dalla Convenzione di Montego Bay, per cui manca una base giuridica esplicita per interferire legittima- mente sulla navigazione in alto mare di navi private di altre nazionalità, sospette di un tale traffico, a meno di considerare, come base giuridica, la Convenzio- ne di Vienna del 1988, sulla repressione del traffi- co illecito di stupefacenti, che postula però accordi bilaterali tra nazioni. Peraltro, le diverse fattispecie di contrabbando doganale, che trovano oggi fonda- mento giuridico nella tutela degli interessi doganali dell’Ue, si realizzano col superamento della linea del confine unionale (S.C. sez. I pen. n. 8540/1984). Si può così intervenire, nel caso in cui vengano meno le condizioni del suddetto transito inoffensivo, ai sensi del combinato disposto degli artt. 19 c. 2 lett. a) e 21, c. 1, lett. g) della Convenzione di Montego Bay. Appare quindi altamente opportuna l’attribuzione dei compiti generali di law enforcement al Servizio nava- le della GdF , che ha assunto il ruolo di unica forza di polizia in mare (d.lgs.19/08/2016, n. 177), fatte salve le attribuzioni assegnate alla Guardia costiera. Può infatti avvalersi dello status di nave da guerra per il proprio naviglio, quando al comando di ufficiale, oltre ad agire come forza di polizia a competenza genera- le, attuando altresì le direttive dell’Autorità di pubblica sicurezza per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, oltre a svolgere i compiti istituzionali di poli- zia economico-finanziaria (quindi doganale) che pre- vedono quindi il contrasto al traffico di stupefacenti. 

Bue water Navy è il termine anglosassone, per indi- care una marina d’altura, che possa svolgere i com- piti previsti per la nave da guerra, anche negli oceani e a grande distanza dalle proprie basi, a livello glo- bale. Tale caratteristica deve essere posta in relazio- ne alle capacità tecniche e umane che possiede una marina e va riconosciuta, in primis, alla Marina Mili- tare, che opera abitualmente missioni di salvataggio e antipirateria nel Corno d’Africa e dovunque nel Me- diterraneo. Solo occasionalmente analoghi compiti vengono svolti anche dalla Guardia Costiera e dalla GdF, che pure fanno parte delle Forze Armate e si sono dotate nel tempo di mezzi performanti e dalle notevoli caratteristiche nautiche, disponendo di ana- loghe capacità giuridiche ma non tecniche.

Green water Navy andrebbero quindi correttamente qualificate la G.C. e il Servizio navale della GdF, con- siderando che la maggior parte delle unità sono di limitato tonnellaggio, mentre le loro missioni si svol- gono prevalentemente in acque costiere e litoranee, pure se molta parte del bacino del Mediterraneo vie- ne attribuito al nostro paese come area SAR. Brown water Navy è un termine che invece ben s’attaglia alle residue capacità navali della Polizia di Stato per il controllo del mare territoriale (art. 2 Co- dice della navigazione), dei laghi e dei fiumi, anche perché lo stato giuridico di nave da guerra non può essere attribuito al suo naviglio, per evidenti motivi di status del personale civile che lo arma. Il Dipar- timento della pubblica sicurezza emana le direttive per il coordinamento delle missioni, cui sono adibiti i mezzi nautici, che possono utilizzare le ordinarie pre- rogative dei mezzi di polizia, ma non oltre le acque territoriali. 

È dubbia la paternità della frase, messa in bocca all’ammiraglio austriaco Tegetthoff, con cui attribuiva la responsabilità della sconfitta di Lissa (20/07/1866) agli inetti navarchi italiani, che pure godevano di su- periorità nel naviglio: “Navi di legno comandate da uomini con la testa di ferro hanno sconfitto navi di ferro comandate da uomini con la testa di legno”. 

Che un comandante possa fare la nave è incontesta- bile; orbene, il Vespucci ha il fasciame di alluminio, ma la tecnica costruttiva è quella delle navi di legno, così può affermarsi che anche quel veliero ebbe un comandante con la testa di ferro, nella persona dell’Ammiraglio Agostino Straulino, detto Tino (Lus- sinpiccolo, 1914 – Roma, 2004), tale dal 21/11/1964 al 28/10/1965. Nella Royal Navy ancora si narra di quando risalì il Tamigi a vela, fino a Londra, ma con lui il Vespucci entrò addirittura nella leggenda, quan- do uscì a vele spiegate dal porto di Taranto, attra- verso lo stretto canale navigabile, quello del ponte mobile, con pochi metri liberi ai lati dello scafo. Sta- bilì inoltre il record di velocità dell’unità con 14,6 nodi (27,039 km/h). 

*Gen. B. (Ris.) della Guardia di Finanza 

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